Obiettivo primario: salvaguardia del clima – Un’intervista

Sulla stampa generalista italiana a maggio sono usciti una serie di articoli ( qui, qui o qui, per citarne alcuni) dai toni allarmanti oltre che battaglieri su una supposta guerra della UE ai condizionatori e su un supposto obbligo di rottamarne “otto su dieci”.

Si legge ad esempio: «L’80% dei condizionatori sono da cambiare. Allarme di Confindustria per case e uffici: l’accusa alle regole Ue» (Open online, 14 maggio). Oppure: «Condizionatori, stretta della Ue: otto su dieci sono da cambiare. Bruxelles pronta a bandire i gas degli attuali impianti» (Il gazzettino.it, 14 maggio). E ancora: «Condizionatori, arriva la stretta Ue: 8 su 10 saranno da buttare. Ecco perché» (affari italiani.it, 14 maggio).

Notizie del genere non fanno che creare allarmismo, soprattutto ora che andiamo verso l’estate. È ovvio che, memori dei frequenti 40 gradi delle ultime estati, leggendo questi titoli, i cittadini non possano che arrabbiarsi con la UE e pensare che i burocrati di Bruxelles dimostrino per l’ennesima volta di essere degli orchi e non dei policy maker al servizio dei cittadini. Tra l’altro: la notizia sembra quasi data a reti unificate. Tutte le uscite indicate state fatte domenica 14 maggio; titoli quasi identici su tutte le testate analizzate, stesso messaggio. Se uno volesse pensar male ci sarebbe da sguazzare. Ma ai nostri lettori la stampa generalista non ha nulla da spiegare su condizionatori e regolamento F-gas (dipinto come la causa di tutti i mali). I nostri lettori sono consapevoli che questi titoli – e chi li ha costruiti – fanno un pessimo servizio sia alla società civile (di cui tutti facciamo pare) sia al settore, perché clienti in allarme significa telefono bollente.

Davide Sabbadin

Forse, per la salute di tutti, sarebbe bene che chi ha la conoscenza si ribelli a questo modo irresponsabile di fare informazione. Perché noi che scriviamo e voi che leggete sappiamo bene che le cose non sono come dipinte da certa stampa il 14 maggio. O no? In dialogo con Davide Sabbadin, che da anni si occupa di refrigerazione, refrigeranti, condizionatori, etc. Non dal punto di vista tecnico ma proprio dal punto di vista delle politiche, quelle che negli articoli sopra citati sono descritte come causa di una tremenda estate.

Quanto si legge nella stampa generalista è allarmante. Come ritieni questa informazione?

Non corretta, nella misura in cui amplifica nell’intensità e nell’estensione timori che sono solamente di una parte degli operatori del mercato. Si tratta di esagerazioni tutt’altro che ingenue, volte per l’ennesima volta a dipingere l’UE come un sistema perverso che non capisce la realtà, come un elemento alieno e ostile agli interessi dei cittadini, quando in realtà è spesso vero l’opposto: senza le norme europee i cittadini sarebbero molto meno tutelati, la nostra vita sarebbe più complessa e quanto alla lotta al cambiamento climatico, saremmo messi molto peggio. 

Negli articoli sopra citati si indica la F-gas come “strumento del diavolo”, colpevole della supposta rottamazione. Cosa dice esattamente in proposito questo regolamento?

In realtà il nuovo regolamento F-gas punta essenzialmente a dirigere il mercato dei nuovi prodotti verso i gas refrigeranti che non sono soggetti a quote, i cosiddetti refrigeranti naturali, e questo lascerà una quantità di refrigeranti fluorurati più che sufficiente per la manutenzione di tutto ciò che è stato installato e venduto fino ad oggi. Quindi non ci sarà  bisogno di rottamare nulla. I condizionatori già in uso possono arrivare al fine vita. L’allarme, quindi, è falso ed esistono molteplici ragioni per dichiararlo tale: in primo luogo esiste un ingente stock di quote di HFC acquisito durante il phase-down e non ancora utilizzato; in secondo luogo, la Commissione Europea stessa ha una riserva strategica di quote da immettere sul mercato laddove fosse necessario.  E in terzo luogo, la norma prevede la possibilità, da parte della Commissione Europea, di derogare sia al taglio progressivo delle quote di gas fluorurati, sia al divieto di impiego per specifiche applicazioni laddove l’evoluzione del mercato non andasse come previsto e fossero necessarie maggiori quote.  Tutto questo è perfettamente noto a tutti gli attori di settore, anche a quelli che gridano “al lupo”.

Rimane che la revisione del Regolamento F-gas come proposto dalla Commissione ha target ambiziosi che da alcune parti vengono indicati come “green”…

Molto spesso chi vuole misure ambiziose per l’eliminazione dei gas fluorurati viene indicato come “green” e viene contrapposto a chi chiede o misure meno ambizione o più tempo per realizzarle in nome del realismo. In questo modo si declassa il dibattito sulla riduzione degli F-gas a una diatriba tra ecologismo e realismo. Più o meno la stessa cosa è avvenuta un po’ di anni fa con le rinnovabili. In realtà si dimentica l’urgenza a cui dobbiamo fare fronte: il clima che cambia e che non aspetta certo noi per fare disastri. E che abbiamo poco tempo e dobbiamo agire i fretta non lo dico io o la UE, lo dicono i rapporti dell‘IPCC, il massimo grado di expertise oggi sui cambiamenti climatici.  

La variabile tempo è, in generale, la variabile più negletta. Il tempo è funzione del cambiamento climatico: maggiore è il cambiamento, minore è il tempo che abbiamo a disposizione. Quando, matematicamente, contrapponiamo fattibilità e costi, semplicemente ci dimentichiamo che siamo in un sistema chiuso dove il risultato è forzatamente la vittoria. Non si gioca per giocare nella lotta ai cambiamenti climatici. Non c’è De Coubertin: ci sono solo la vittoria o la catastrofe climatica. Tertium non datur.  E quindi, se a decidere le politiche sui refrigeranti come quelle relative a tutti i temi climatici fosse un computer e non degli esseri umani con interessi a volte nobili (la difesa dei posti di lavoro) altre volte meno (interessi puramente speculativi), nella nostra funzione economica in cui mettiamo phase-down, messa al bando, incentivi, tecnologia ecc., qualsiasi combinazione che ci desse come risultato un tempo superiore ai 15 anni per l’azzeramento delle emissioni verrebbe eliminata a prescindere. E invece siamo qui a chiedere più tempo, più deroghe, più elasticità, l’esclusione di questo e di quello… avendo perso completamente di vista il risultato finale, che invece è vincolante.

Ad ascoltare tutti, c’è da rimanere confusi perché sulle varie tecnologie si leggono posizioni contrastanti e opposte. Come orientarsi?Vanno distinte le voci dei singoli e le voci collettive. Una famosa citazione di Lao Tze, dice che la velocità di marcia dell’esercito è dettata sempre dal soldato più lento. Purtroppo, la velocità di quel soldato lento non è sufficiente per la vittoria contro il cambiamento climatico. Per cui è inevitabile che la voce di chi rappresenta in maniera collettiva un settore, sia esso di produzione o di servizi, sia una voce che propone dei tempi di cambiamento più lenti, in maniera che anche l’ultimo dei suoi soci o membri possa farcela.
Tuttavia, questa lentezza non ce la possiamo più permettere. Ce lo dice la scienza. E quindi, seppure bisognerà fare ogni sforzo per evitare che molti rimangano indietro, qualcuno fatalmente rimarrà indietro. Un po’ è il mercato e la selezione naturale, e un po’ è la colpa di chi non ha saputo investire ed innovare e ora si trova spiazzato. Succede ad ogni salto di tecnologia.

Tra l’altro: la narrativa è spesso CO2/costi ed inefficienza e propano/pericolo. Eppure, le soluzioni sia a CO2 che a propano si fanno sempre più strada quindi c’è qualcosa che in questa narrativa non quadra…

Ad ogni salto tecnologico esiste una parte del mercato che non riesce a innovare e scredita le nuove tecnologie. Tuttavia, con ormai centinaia di modelli di pompe di calore di ogni tipo basate su gas naturali, con il mercato della refrigerazione commerciale saldamente nelle mani della CO2 anche in aree dai climi estremi (e il tutto, ricordiamolo, con performance e rendimenti economici in linea con il mercato, perché nessuno butta i soldi e chi investe vuole un ritorno), diventa sempre più difficile ribadire le solite narrazioni sul pericolo o sull’inefficienza. È vero, ci sono ancora nicchie di mercato dove l’innovazione non è arrivata al suo punto ottimo e serve fare ancora ricerca. Ma sono problemi di carattere ingegneristico, che storicamente abbiamo sempre risolto e anche facilmente considerando il know-how italiano in questo campo. È sempre una questione di tempo e di soldi, che sono variabili inversamente proporzionali: se il tempo manca, basta mettere abbastanza soldi sul tavolo e il problema – se tecnico – si risolve. Lo sviluppo in tempo record del vaccino contro il COVID19 sta lì a ricordarcelo.
Sul fronte del pericolo, basta vedere che paesi dove le pompe di calore a propano sono più diffuse non sono paesi noti per un più alto tasso di incidenti. E d’altronde le stesse aziende che puntano il dito su queste tecnologie, che cosa presentano con grande fanfara al centro dei loro stands nelle fiere di settore? Esattamente quel tipo di macchinari! Sembra a volte di trovarsi davanti ad una fenomenologia de “la volpe e l’uva”, come nella famosa favola di Esopo: uno critica la tecnologia di chi è arrivato prima e nel frattempo fa di tutto per accelerare i tempi ed arrivarci anche lui. 

 Altro tema: la disponibilità di tecnici in grado di gestire gli impianti a refrigeranti alternativi. È dal 2014 che sappiamo che occorre una formazione sui refrigeranti alternativi ed è dal 2014 circa che diciamo che mancano i tecnici. È vero che la formazione non si improvvisa ma d’altro canto proprio l’Italia ha un forte know-how proprio in queste tecnologie. Non potrebbe essere un campo da sviluppare, un business da sviluppare per il Paese?

Senza toccare il tema della formazione vocazionale, quella dei giovani che sconta i ritardi e i problemi tipici della macchina amministrativa pubblica italiana, c’è da dire che la formazione dei professionisti su tutta la gamma dei gas in commercio avrebbe potuto essere più rapida guardandoci indietro, in particolare nel campo del condizionamento. Al ritardo accumulato si è aggiunta la spinta enorme data dal boom del mercato domestico e commerciale che sta passando alle pompe di calore in maniera rapidissima.
È chiaro che in “tempi di rivoluzione” le soluzioni classiche fin qui adottate non servono. Serve inventare una formazione agile, 24/7, a distanza, gratuita o comunque a bassissimo costo per i professionisti che sono già gravati da molti oneri formativi ed amministrativi, e che hanno pochissimo tempo da dedicarci. Una formazione che arrivi ad un’audience molto diversificata (idraulici, elettricisti, frigoristi) e lo faccia in maniera rapida. In questo senso mi aspetto qualcosa di buono dalle prossime call del programma LIFE e della strategia europea sulle pompe di calore.  Ma è vero che chi prima arriverà a sviluppare un modulo formativo con queste caratteristiche, avrà un vantaggio competitivo. L’Italia potrebbe giocare un ruolo strategico.

Nella discussione sui gas fluorurati da usare spesso il TEWI e il GWP vengono posti l’uno contro l’altro. “TEWI versus GWP” si legge in certi articoli. È davvero così? Quale è il concetto generale che dovrebbe guidare le scelte?

Il ragionamento che sta dietro al TEWI è un ragionamento in linea di massima corretto. Si intende calcolare l’impatto climatico sia diretto che indiretto delle tecnologie, inserendo anche l’impatto dell’energia consumata nella vita utile dell’oggetto. Ma quando si fa questo calcolo si tende a dare per assodate tre condizioni: la prima è che il GWP del refrigerante sia quello dichiarato dalla casa madre. La seconda è che le emissioni dell’energia elettrica consumate siano quelle presenti oggi nel mix elettrico nazionale. E la terza è che le tecnologie a gas naturale siano meno efficienti di quelle a gas fluorurati.  Sono tre condizioni che, invece, non si verificano. Vediamo perché. In primo luogo, il GWP di molti gas fluorurati è stato rivisto al rialzo dall’IPCC recentemente nel suo rapporto “Climate Change 2021 – The Physical Science Basis”: è il caso del R32, per esempio, il cui GWP è passato, significativamente, da un valore di 675 ad un valore di 771. Questi nuovi valori non sono stati adottati dalla proposta di revisione del Fgas per una sola ragione: essendo la proposta mossa dall’intento primario di allineare la norma europea a quella internazionale (il protocollo di Montreal) è necessario che prima questi nuovi valori vengano adottati a livello globale, altrimenti avremmo di nuovo un disallineamento tra il livello europeo e quello mondiale. Ciò non di meno, la Commissione europea li riporta a fianco di quelli “vecchi” e invita a tenerne conto. Va infine ricordato che questo valore si riferisce all’impatto climatico sul lungo periodo, ovvero sui 100 anni (molti di questi gas rimangono in atmosfera a lungo). Ma l’impatto non è lo stesso in questi 100 anni: nei primi 20 anni l’impatto e molto maggiore, e va diminuendo a mano a mano che i gas scompaiono. E siccome se vinceremo o perderemo la sfida con i cambiamenti climatici dipenderà da cosa facciamo nei prossimi 20 anni, è solo quello l’impatto che ora ci importa. Quindi capita che il GWP sia anche dieci volte superiore a quello dichiarato, sui 20 anni.  E questo, ovviamente, ha un impatto sul TEWI, aumentando le emissioni dirette.

In secondo luogo, l’impatto climatico dell’energia elettrica, è una fotografia del mix elettrico presente in Europa ad oggi: ma non solo le rinnovabili (che hanno impatto climatico quasi nullo) sono la fonte di gran lunga in maggiore crescita, ma abbiamo anche un obiettivo europeo (finora rispettato) di arrivare al 55% di energia rinnovabile al 2030, che si traduce in un 65% di elettricità rinnovabile. A questo si aggiunga la tendenza di installare sistemi refrigeranti in abbinamento al fotovoltaico (nei supermercati, per esempio). Questo avrà un impatto molto forte sulle emissioni indirette considerate nel TEWI. Per ultimo l’assunto per il quale le tecnologie a gas naturale siano per forza meno efficienti o comunque lo siano a meno di sofisticazioni tecniche del sistema (sistemi a cascata, più costosi, per esempio) è smentito dalla realtà del mercato, che vede un boom di queste tecnologie. Per le pompe di calore diversi studi recenti hanno dimostrato una sostanziale equivalenza di efficienza del propano, e semmai ne hanno segnalato delle migliori performance alle alte temperature di mandata, che è un tema centrale per l’impiego di pompe di calore in quelle abitazioni dove non è possibile installare il riscaldamento a pavimento o a bassa temperatura (ovvero la maggior parte delle abitazioni e uffici europei, nel breve temine).  Per cui anche questo fattore contribuisce a ridimensionare il valore del TEWI rispetto al GWP.
In sostanza, seppure possano esserci casi in cui il TEWI sconsiglia l’uso di impianti a gas naturale, si tratta di eccezioni, già oggi, che sono destinare ad esserlo sempre di più nei prossimi anni.