Innovazione e Bel Paese: matrimonio all’italiana?

Dr. Secondo Rolfo, direttore dell’IRCrES - Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile – parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche
Dr. Secondo Rolfo, direttore dell’IRCrES – Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile – parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche

Nell’ultimo numero di Zero sotto Zero (ottobre, QUI) c’è uno speciale dedicato alla innovazione: cosa significa fare innovazione, quali gli “ingredienti” importanti, chi fa innovazione e come. Nelle circa 50 pagine dedicate a questo tema vi è anche un’intervista al Dr. Secondo Rolfo, direttore dell’IRCrES – Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile – che è parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Nell’intervista il Dr. Rolfo definisce il rapporto Italia e innovazione un matrimonio che è sicuramente stato felice in passato, quando la struttura aziendale permetteva ancora di rispondere alle richieste. Ora, come ogni matrimonio, anche questo è entrato in crisi e fornisce alcuni spunti di riflessione molto interessanti.

Qui di seguito un estratto dell’intervista.

Cosa è l’innovazione tecnologica e come si misura?

Innovazione tecnologica potrebbe essere definita come qualsiasi introduzione di prodotto o servizio nuovo per il mercato o come il miglioramento sostanziale di un prodotto o servizio già esistente. È una definizione molto ampia, perché il concetto di innovazione non si lascia definire puntualmente. Anche misurarla risulta difficile, perché è talora difficile accordarsi su cosa sia un prodotto nuovo. Le statistiche ufficiali che si occupano d’innovazione non considerano tanto quanto viene realizzato, quanto piuttosto gli investimenti fatti per realizzare qualcosa di nuovo, ad esempio gli investimenti in ricerca e sviluppo, il numero di ricercatori presenti nelle imprese o università, etc. C’è cioè un problema oggettivo nel misurare i risultati dell’innovazione, difficilmente traducibili in statistiche. Vi sono poi a livello europeo delle indagini che chiedono alle imprese che tipo di innovazione hanno realizzato in un dato periodo, ma si tratta di indagini campionarie, quindi vanno prese con la dovuta cautela.

Considerare il numero di brevetti depositati o richiesti può essere un metodo per misurare l’innovazione?

I brevetti rappresentano quello che noi economisti chiamiamo una “proxy”, ovvero un’indicazione utilizzabile per approssimazione, ma non propriamente il dato che cerchiamo, perché si riferiscono a qualcosa che nasce dalla attività di ricerca ma non sappiamo se poi si trasformerà in servizio o prodotto nuovo. I brevetti sono però un dato che ci dice che è stata svolta attività di ricerca, che i risultati hanno un carattere innovativo riconosciuto dall’autorità preposta a riconoscere il brevetto, ma non ci dice quali e quanti di questi si trasformeranno effettivamente in servizi e prodotti nuovi con vita propria sul mercato. Quindi, considerando il numero di brevetti, dobbiamo essere consapevoli che essi ci dicono solo cosa c’è a monte – ovvero una ricerca che ha portato a qualcosa di nuovo – ma non il destino che poi questa “novità” avrà.

Innovativi si nasce o si diventa?

Ci sono entrambi i casi, per fortuna. Vi sono aziende che nascono con forte spirito innovativo. Per esempio gli spin off di università ed enti di ricerca sono imprese che nascono per fare innovazione. Ma è anche vero che molte imprese tradizionali sono diventate innovative, anche per esigenze di mercato e concorrenza.

Quali sono i prerequisiti per fare innovazione?

il rapporto Italia e innovazione: un matrimonio che è sicuramente stato felice in passato, quando la struttura aziendale permetteva ancora di rispondere alle richieste. Ora, come ogni matrimonio, anche questo è entrato in crisi…
Il rapporto Italia e innovazione: un matrimonio che è sicuramente stato felice in passato, quando la struttura aziendale permetteva ancora di rispondere alle richieste. Ora, come ogni matrimonio, anche questo è entrato in crisi…

Il requisito principale è, a mio parere, la consapevolezza e percezione che l’innovazione è strategica e fondamentale per il futuro dell’impresa e del Paese. Bisogna cioè essere convinti che fare innovazione è importante. Poi ovviamente bisogna avere le risorse finanziarie, ma soprattutto le risorse umane per farla. Ovvero bisogna avere le persone che hanno quella base di conoscenze indispensabili per fare innovazione. Se mancano questi tre elementi, di innovazione se ne fa poca… che è il caso italiano. Le statistiche nazionali dell’abbandono delle Università o del basso numero di laureati per me sono un campanello d’allarme, perché indica che mancano le basi per fare innovazione nel Paese.

 L’intervista integrale è disponibile a pagina 42 del numero di ottobre di Zero sotto Zero. Per abbonarvi: QUI