«Quello che è successo era impossibile da prevedere»: così dice Alessandro Vitri, Vice Presidente di Rivacold, quando riassume il periodo appena trascorso. «Ma nonostante tutte le cicatrici del caso, ora è tempo di ripartire». E Rivacold sta ripartendo: dapprima con poco personale e per soddisfare gli ordini più urgenti e oggi invece a pieno ritmo con quasi tutto il suo personale – circa 1070 persone – di nuovo sul posto di lavoro.
Ripartire per Rivacold non significa solo riaccendere i motori e riaprire le officine ma anche ripensare alle settimane trascorse cercando di analizzare i punti di forza e i punti deboli che la propria organizzazione ha mostrato nel momento della crisi. «Il lock down, che per noi ha significato chiusura completa per circa due settimane, è stato anche una pausa di riflessione. Abbiamo avuto modo di misurare la nostra capacità di reagire alla situazione: di analizzare cosa ci ha resi più resilienti e deve quindi essere potenziato in futuro e cosa invece non ci ha aiutato e deve quindi essere modificato».
E il risultato? «Abbiamo con maggiore consapevolezza preso coscienza dell’importanza della digitalizzazione in azienda. Essa ha giocato infatti un ruolo fondamentale per poter continuare a comunicare tra di noi e con i clienti, per poter portare avanti almeno il lavoro amministrativo o di progettazione. La digitalizzazione è sicuramente stata uno degli strumenti che ci hanno consentito di superare la fase uno e ci permette ora di riaffrontare più agilmente la ripartenza. Abbiamo imparato che le tecnologie digitali ci possono essere di grande aiuto non solo laddove erano già affermate come in alcuni processi produttivi, ma anche nella comunicazione e nelle relazioni tra l’azienda e i suoi partner o le sue filiali, in Italia e all’estero. Di questo ne terremo sicuramente conto in futuro, organizzando diversamente la comunicazione aziendale».
Le filiali italiane di Rivacold, almeno quelle nei centri principali, sono rimaste attive per tutto il periodo trascorso, in quanto fornitrici di componenti per filiere essenziali. Anche i siti in altri paesi – Germania, Francia, Regno Unito, Slovacchia e Stati Uniti – hanno continuato a lavorare, anche se in forma ridotta, ma nessuno ha dovuto chiudere come invece la casa madre: «Questo, naturalmente, depone a favore di una organizzazione e produzione diffusa e non concentrata in un unico paese».
E infine l’innovazione tecnologica: «Anche i laboratori di Rivacold (VRL LAB) hanno riaperto e ripreso le attività di ricerca, sviluppo e innovazione dal punto in cui le avevano interrotte prima della emergenza. E per Rivacold la direzione è indubbiamente quella di una innovazione sostenibile, verso soluzioni ecologiche perché solo queste possono assicurare una stabilità di business sul medio e lungo periodo».
E sul periodo a breve termine? «Diciamo che in parte il periodo più difficile è passato ed è stato quello in cui oltre a curarci di mettere in salvo il business dovevamo curarci di “mettere in salvo” anche le persone, che hanno reagito in maniera diversa, talora molto sensibile, alla situazione, come d’altro canto è naturale. Ora con la ripresa delle attività, si è ritornati a una sorta di routine che in un certo senso rassicura. Tornare in ufficio, uscire dall’isolamento del lavoro da casa, è stato per molti sicuramente un aiuto a ripristinare una sorta di normalità. Per quanto riguarda la gestione dell’azienda, devo ammettere che noi imprenditori ci siamo sentiti lasciati un po’ troppo soli, ad esempio nella decifrazione delle indicazioni, talora fuorvianti, o nella messa in atto delle linee di azione generali, ma abbiamo superato anche questo. Ora dobbiamo cercare di tornare il prima possibile a livelli di business e occupazione che avevamo previsto, ma temo che ci vorrà almeno un anno: molte delle filiere che noi serviamo sono ancora sofferenti e fase due o fase tre che sia, fanno fatica a ripartire. E di questo sentiremo inevitabilmente anche noi l’eco».