L’acido trifluoroacetico (TFA) appartiene alla sottoclasse di sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS). Il TFA è di gran lunga il PFAS più abbondante nell’ambiente. La loro concentrazione è particolarmente elevata attorno agli impianti di produzione di sostanze fluorochimiche, come rilevato da alcuni studi in Cina.
L’interesse per queste molecole non è nuovo. I primi studi risalgono alla metà degli anni ’90, in seguito all’introduzione sul mercato di nuovi refrigeranti fluorurati (idrofluorocarburi (HFC) e idroclorofluorocarburi (HCFC)), in sostituzione dei CFC. Molti di questi refrigeranti fluorurati contengono un legame C-CF3 resistente alla degradazione biochimica o fotochimica. Qui il TFA è generalmente un prodotto di degradazione terminale. Negli ultimi anni, l’interesse per il TFA è aumentato a causa del rapido aumento delle concentrazioni osservate in luoghi remoti, nonché della sua ubiquità nelle fonti di acqua potabile e nel sangue umano.
Nello studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology, Arp e colleghi ritengono che vi siano ormai dati più che sufficienti per concludere che il TFA rappresenti un serio e globale rischio per l’uomo e per l’ambiente.
Molteplicità delle fonti
Il TFA (acido trifluoroacetico) è un composto persistente e altamente mobile, che finisce per accumularsi nell’idrosfera terrestre, essendo presente in molte fonti d’acqua (acque sotterranee, oceani, ghiacci, acqua potabile). Le piante assorbono costantemente il TFA, che si accumula nei tessuti per tutta la loro vita, senza trasformarsi o volatilizzarsi.
Il TFA è difficilmente degradabile e può essere rimosso dalle acque solo con trattamenti costosi come l’osmosi inversa, che ha un alto consumo energetico e una perdita d’acqua del 50%. Questo contrasta con la Direttiva europea sulle acque, che mira a ridurre la necessità di trattamenti per l’acqua potabile.
Secondo quanto riportato, il TFA è emesso principalmente dai gas refrigeranti fluorurati (F-gas). Anche alcuni dei nuovi refrigeranti fluorurati alternativi (HFO e alcuni HFC) si trasformano in TFA.
Oltre ai refrigeranti, il TFA proviene anche da processi industriali e precursori chimici, come pesticidi, farmaci e polimeri fluorurati, rilasciati da industrie chimiche e impianti di trattamento delle acque reflue e discariche. Studi recenti escludono fonti naturali, indicando che l’aumento del TFA è dovuto a cause antropiche. Dal 1990 si riconosce inoltre la formazione di TFA dalla distruzione termica dei polimeri fluorurati e dalla decomposizione dei PFAS, complicando l’identificazione delle principali fonti ambientali di TFA.
Gli effetti sulla salute umana
Recenti analisi hanno esaminato la tossicità del TFA nei mammiferi, focalizzandosi sulla tossicità umana. La maggior parte degli studi ha rilevato possibili influenze sul fegato e sullo sviluppo embrionale. Occorrono indubbiamente ulteriori studi tossicologici ma alcuni stati hanno fissato dei limiti per la presenza di TFA nell’ acqua potabile e negli alimenti: la Germania, ad esempio, ha fissato un valore guida per il TFA a 60 µg/L nell’acqua potabile, ma raccomanda di ridurre questa concentrazione a 10 µg/L; i Paesi Bassi hanno recentemente proposto un limite di 2,2 µg/L.
Considerata la persistenza del TFA, l’esposizione cronica e per tutta la vita è probabile per molte specie. Tuttavia, i dati sugli effetti cronici sono ancora scarsi e limitati nel tempo. Alcuni studiosi sostengono che il rischio del TFA per la salute umana e l’ambiente sia trascurabile, ma questa conclusione è controversa, poiché ignora l’accumulo ambientale e le vie di esposizione umana, oltre alla mancanza di studi su esposizioni croniche di lungo termine.
Implicazioni ambientali
Secondo gli autori dello studio qui citato, l’accumulo crescente di TFA soddisfa le tre condizioni per essere catalogato come minaccia planetaria, ovvero:
1) ha un impatto sconosciuto su un processo vitale della Terra, come suggerito dalle concentrazioni di TFA che superano soglie di sicurezza in acqua e suolo, e dai limiti precauzionali stabiliti per la tossicità umana;
2) ha un impatto che diventa evidente solo quando ha già raggiunto una scala globale, poiché il TFA è diffuso in molti ambienti (piante, acqua, regioni artiche);
3) ha impatti scarsamente reversibili, dovuti alla persistenza del TFA nell’ambiente e alla sua mobilità.
Arp e colleghi concludono che per limitare gli impatti del TFA, è urgente avviare azioni politiche e innovative per eliminare gradualmente le sostanze che contribuiscono all’accumulo di TFA, come la produzione diretta di TFA e di precursori come HFO-1234yf e pesticidi come il flufenacet. Anche altre sostanze che rilasciano TFA dovrebbero essere eliminate seguendo principi di progettazione sostenibile per evitare sostituzioni dannose. Dato il tempo necessario per attuare politiche globali, agire rapidamente è essenziale per prevenire effetti irreversibili sugli ecosistemi e sulla salute umana.