ATMOsphere Europe 2021: “Dirty Cooling versus Clean Cooling”- il tempo di scegliere è ora

Alla fine della prima giornata dell’11esima edizione di ATMOsphere Europe 2021 i messaggi che i partecipanti portano a casa sono tanti ma in particolare uno rimane impresso nella mente: la contrapposizione tra “dirty cooling e clean cooling” – freddo sporco e freddo pulito – fatta da Marc Chasserot, fondatore di ATMOSphere (ex Shecco) all’apertura dei lavori.

«Sono anni che si cerca di venderci il freddo sporco sotto forme diverse, per poi accorgersi che esso comporta dei problemi a cui dobbiamo faticosamente porre rimedio» afferma Chasserot, mostrando una slide (qui sotto) che chiaramente indica cosa si debba intendere per “dirty cooling”: prima i CFC a cui dobbiamo il buco dell’ozono, poi gli HFC a cui (anche) dobbiamo il cambiamento climatico e ora gli HFO a cui sempre più sembrano esser legarti problemi ambientali di varia natura quali ad esempio l’acidificazione delle acque superficiali e la produzione di R23 come prodotto secondario.

Credits: ATMOsphere

«Se per accorgerci delle conseguenze deleterie dell’uso di CFC e HFC ci abbiamo messo vent’anni, non possiamo oggi permetterci un altro esperimento ambientale per poi accorgersi tra vent’anni che non è stata una buona soluzione». Semplicemente perché non abbiamo più vent’anni a disposizione per fare fronte alla crisi climatica. L’ultimo rapporto IPCC sul clima parla, infatti, molto chiaro: “A meno che non vi sia una riduzione immediata, rapida e su larga scala delle emissioni di gas serra, limitare il riscaldamento climatico a 1,5°C o anche 2°C sarà impossibile”. Per fare questo abbiamo ormai meno di una decade, secondo il rapporto.

Una azione a favore del clima è urgente ed è quindi urgente rinunciare al “freddo sporco” a favore di quello pulito, afferma Chasserot. Cosa si intende per freddo pulito?  A questo proposito ATMOsphere e il Centro per il freddo sostenibile dell’Università di Birmingham hanno redatto un manifesto dal titolo “Defining Clean Cooling” che ben definisce il freddo pulito in tutte le sue accezioni.

Il Clean Cooling o freddo pulito rappresenta un approccio olistico ai sistemi di refrigerazione e condizionamento dell’aria che incorpora le tecnologie più efficienti e rispettose dell’ambiente, affrontando al contempo la pressante necessità della società di apparecchiature di raffreddamento nei paesi in via di sviluppo. Esso si pone come paradigma all’intersezione tra Accordo di Parigi, Emendamento di Kigali al Protocollo di Montreal e Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Sono tante le forme che può assumere il freddo sostenibile ma sicuramente quella più facile da realizzare è l’utilizzo di refrigeranti naturali. Si legge nel documento: “per definizione il freddo pulito include la transizione completa dai refrigeranti fluorurati ai refrigeranti naturali, tra cui CO2, ammoniaca, idrocarburi, acqua e aria“. I refrigeranti naturali sono dunque il passo più facile e abbordabile per ridurre le emissioni di CO2 equivalenti del settore e limitare tutti gli altri danni ambientali possibili legati all’utilizzo di nuove molecole dal dubbio impatto sull’ecosistema.

La revisione in divenire del Regolamento F gas così come il COP 26 di novembre sono una occasione d’oro per la Politica per dimostrare di voler seriamente agire a favore del clima. Ma qualora questo non dovesse succedere vi sono altri elementi che comunque spingeranno verso il freddo pulito e i refrigeranti naturali: la nuova coscienza ambientale che si sta facendo strada nella società e lo spostarsi dei fondi di investimento verso tecnologie più pulite.

Su quest’ultimo punto vale la pena riflettere: se gli investitori si spostano verso soluzioni di freddo sostenibile significa che lì vedono un business. E che il business esista davvero lo dimostrano le scelte di molte aziende che negli ultimi anni hanno ampliato il proprio portfolio di offerte per la refrigerazione naturale. Esemplare il caso di TEKO descritto da Andreas Meier, Managing DIrector dell’azienda: «Originariamente TEKO produceva rack ad HFC che erano il fulcro della nostra attività.  Fino a 4 anni fa circa producevamo solo il 30% di tecnologia naturale e negli ultimi 4 anni abbiamo avuto un aumento esponenziale delle richieste e della produzione per refrigeranti naturali. Oggi il business con gli F-gas rappresenta solo il 5% del business di TEKO». E ancora più interessante sapere che «Queste tendenze sono derivate dalle richieste degli end-user (NdR: refrigerazione commerciale in primis) che hanno fatto analisi di rischio e hanno visto quanto fosse per loro più conveniente fare scelte di mercato con prospettive più lunghe e meno costose anche dal punto di vista dell’approvvigionamento di un refrigerante non soggetto ad andamenti di mercato bizzarri».

TEKO è una azienda che fiorisce. Ha ordini ben oltre le proprie capacità e pensa di aumentare l’organico. Ma, afferma Andreas Meier: «Sono sicuro che non siamo gli unici e che molte aziende sono nella nostra situazione». E molte sono europee. A conferma che i refrigeranti naturali non solo significano sostenibilità ambientale ma anche business e creazione di posti di lavoro per l’Europa e in Europa.