Le sostanze chimiche resistenti alla degradazione nell’ambiente sono indicate come persistenti. L’elevata persistenza (emivite di degradazione di sei mesi o più) ha importanti implicazioni per il comportamento delle sostanze chimiche nell’ambiente.
Le sostanze chimiche persistenti sono distribuite ampiamente, spesso a livello globale, e raggiungono concentrazioni (molto) più elevate rispetto alle sostanze chimiche di breve durata emesse alla stessa velocità.
Negli ultimi decenni molti noti problemi storici di inquinamento chimico o grossi danni ambientali sono stati il risultato del rilascio di sostanze chimiche altamente persistenti. Basti pensare ai CFC o agli HFC per il settore del freddo, ma anche al PCBs (policlorobifenili) o ai PFAs (sostanze perfluoroalchiliche).
Un articolo pubblicato nel 2019 in Environmental Sciences – Processes and Impact, della Royal Society of Chemistry a firma Cousins et al. ha preso in considerazione alcune molecole, diverse per natura ma tutte caratterizzate da una elevata persistenza nell’ecosistema. Utilizzando calcoli di modellazione valutativa gli studiosi evidenziano alcuni comportamenti simili, indipendenti dalla natura chimica delle molecole ma da fare risalire alla loro persistenza:
- Il rilascio continuo di sostanze chimiche altamente persistenti porta a una contaminazione diffusa, duratura e crescente.
- L’aumento delle concentrazioni si traduce in crescenti probabilità che si verifichino effetti sconosciuti, sia da parte di una singola sostanza chimica e / o in una miscela con altre sostanze.
- Una volta identificati gli effetti negativi, è tecnicamente impegnativo, ad alta intensità energetica e quindi costoso eliminare dall’ecosistema tali molecole, ammesso che ci si riesca in tempi utili.
Proprio per questi comportamenti, gli autori sostengono che “maggiore è la persistenza di una sostanza chimica, maggiore è l’enfasi che dovrebbe essere data nella valutazione e nel processo decisionale sul loro uso”. In particolare affermano: «Sulla base dei nostri risultati, proponiamo di stabilire che un’elevata persistenza venga considerate come base sufficiente per la regolazione di una sostanza chimica. Noi sosteniamo che la sola regolamentazione sull’elevata persistenza non sia eccessivamente precauzionale, dati i problemi storici e in corso causati dalle sostanze chimiche persistenti. La regolamentazione delle sostanze chimiche altamente persistenti, ad esempio limitando le emissioni, non sarebbe solo precauzionale, ma servirebbe a prevenire impatti futuri scarsamente reversibili».
Uno dei criteri che si usa per regolamentare l’uso delle molecole anche persistenti è la loro tossicità. A tale proposito si afferma nell’articolo che esistono anche sostanze chimiche persistenti che mostrano una tossicità relativamente bassa secondo le attuali conoscenze, come l’acido trifuoroacetico (TFA), che si forma dalla degradazione in atmosfera degli HFO. Secondo il modello utilizzato nello studio, anche sostanze chimiche altamente persistenti per le quali la tossicità attualmente nota è piuttosto bassa dovrebbero essere contrassegnate e prese in considerazione per la regolamentazione. «Come indicato nello studio infatti, è possibile che si verifichino effetti indesiderati su larga scala se una tale sostanza chimica entrasse nell’ambiente, si distribuisse ampiamente e portasse ad un aumento continuo dell’esposizione ambientale e umana. Le prove disponibili degli ultimi 50 anni mostrano che questa non è solo una possibilità ipotetica, ma un risultato altamente probabile».