A seguito del comunicato stampa di Assofrigoristi, pubblicato settimana scorsa su queste pagine, abbiamo ritenuto utile approfondire alcuni passaggi e posto a Marco Masini alcune domande.
Quanto era diffusa nel settore dei tecnici del freddo la convinzione che il riciclato potesse essere usato solo nell’impianto di provenienza? Cosa vi ha aperto gli occhi sulla necessita di questo chiarimento?
Gran parte del nostro settore non si informa – purtroppo – direttamente dalle fonti associative o istituzionali nazionali ma procede per “sentito dire”, il che lascia spazio alle “interpretazioni” commerciali spesso piegate a favore del risultato di vendita a breve. Gli interventi volti a ridurre gli HFC son partiti nel 2006, e stanno diventando sempre più stringenti. Con il 2014 si è introdotto il sistema delle quote guardando al GWP, ma, recentissimamente, ci siamo resi conto che la revisione delle regolamentazioni per il contenimento delle emissioni climalteranti si rivolgerà al cosiddettoTEWI. Questo, tenendo conto delle emissioni nell’intero ciclo di vita, rende chiaro che è fondamentale ridurre la produzione di refrigeranti alla fonte – ed è qui che sono stati riconosciuti fondamentali il riciclato ed il rigenerato dalla Commissione UE, perché di fatto a GWP=0 – ed efficientare le apparecchiature. La struttura industriale che sostiene il rigenerato ha le spalle larghe, trattandosi di imprese di dimensioni rilevanti, mentre il riciclato, possibile per le aziende frigoriste che, però, nel migliore dei casi valgono pochi milioni di euro di fatturato e hanno rappresentatività locale, avevano bisogno di una voce autorevole di livello nazionale e che si rapportasse anche direttamente con il legislatore europeo.
Nel comunicato si afferma che questa nuova precisazione della Commissione fornisce nuovo ossigeno al settore permettendogli di arrivare in maniera più „distesa“ al 2030. Cosa intendete qui esattamente? Rimane comunque la necessita di non aspettare il 2030 per trovare soluzioni alternative…
Il mercato italiano della refrigerazione è ancora oggi sostanzialmente basato sugli HFC. Non intravvediamo a breve una transizione verso refrigeranti alternativi, soprattutto per quelle motivazioni legate alla sicurezza. Ci sono opportunità che si stanno aprendo per gli A2L, legate alla costante e progressiva apertura sul fronte dell’installabile da parte della legislazione antincendio, ma le aziende frigoriste non sono preparate. Gestire gli infiammabili in mancanza di una certificazione obbligatoria (e noi non siamo certo per spingere in quella direzione!) prevede una maggiore responsabilità degli imprenditori, che devono formare i tecnici, predisporre tutte le necessarie attrezzature e DPI, e certificare anche ai clienti terzi la loro preparazione. E non ci siamo. Per ciò che concerne l’anidride carbonica… peggio che andar di notte! Sono una manciata le aziende italiane che riescono a gestirla, e solo in un settore specifico (la refrigerazione commerciale), e vi è ancora una scarsissima preparazione sul tema preminente che essa si porta dietro, ovvero la PED, che riguarda anche l’ammoniaca. Da tutto ciò ne segue che la strada al 2030 è da percorrere lungo la via del riciclato e del rigenerato, soluzioni diverse ed egualmente importanti.
Dal Vostro comunicato emerge una luce un poco „negativa“ riguardo al refrigerante rigenerato. Bisogna però affermare che il rigenerato rimane comunque uno dei mezzi importanti per affrontare il phase down. Cosa pensate in proposito?
Come detto, la luce che proiettiamo su ogni passaggio dell’economia circolare è tutt’altro
che negativa, anzi. Ma ciò non significa che lo step successivo (rigenerazione) debba biasimare o scongiurare il precedente (riuso e riciclo) a fini economici. Siamo tutti sulla stessa barca! Se si può risparmiare emissioni (dirette o indirette) deve essere fatto come priorità. D’altronde la “gerarchia dei rifiuti” richiede proprio questo: solo e soltanto se si sono verificate le condizioni (opportune e prevalenti) del riuso e del riciclo si può pensare di ritrattare il rifiuto, riportandolo alle condizioni il più possibile vicine all’originale. Abbiamo fatto i cosiddetti “conti della serva”: per realizzare 100kg di riciclato si ottengono solo l’8% (!) delle emissioni totali di una analoga quantità di rigenerato! Di questo dovremmo discutere.
Tra l’altro qualitativamente parlando il rigenerato è come il refrigerante vergine, mentre il riciclato è buono solo se l’operazione di riciclo è fatta in maniera adeguata. Giusto?
Questo è un altro punto cruciale. Se tutto il rigenerato in circolazione fosse fatto “a regola d’arte”, il prodotto finale non dovrebbe discostarsi da quello vergine, ed essere certificato secondo la AHRI700, l’unica norma internazionale alla quale riferirsi. Ma, siccome in Italia esiste un limitatissimo numero di “rigeneratori” certificati (quasi tutti provenienti da coloro i quali ebbero l’opportunità di sottoscrivere i cosiddetti “accordi di programma” per le sostanze Ozono Lesive), resta da chiedersi cosa stia circolando. E qui la nostra preoccupazione, ambientalmente parlando, è alta: il rigenerato è possibile solo partendo da rifiuto speciale che deve essere gestito secondo rigorosi protocolli. L’industria e la distribuzione del rigenerato dovrebbe fornire in automatico con ogni spedizione e fattura la certificazione del laboratorio che ha validato il “ri-prodotto”. Stessa cosa, giustamente, deve valere per il riciclato, processo “industriale” tutt’altro che scontato. Assofrigoristi ha redatto una Linea Guida (ora in aggiornamento grazie ai chiarimenti della UE e dell’Agenzia delle Entrate) che chiede massima serietà e coscienza alle aziende che vogliono intraprendere questa strada. Le procedure e la burocrazia associata, così come la responsabilità degli imprenditori, deve prevalere e lasciar fare il riciclato a chi è in grado, secondo Legge e regola dell’arte. Un buon riciclato permette, come abbiamo visto, di risparmiare tantissime emissioni, ma deve essere fatto da aziende strutturate e personale competente!
Quale è stata la reazione del settore a questa Vostra comunicazione?
La “reazione” è stata positiva, anzi, più che positiva. I frigoristi e le grandi aziende certificate si erano fatte spaventare da erronee interpretazioni delle normative vigenti, che, invece, premiano l’economia circolare e la strada della “gerarchia dei rifiuti”, dove il ri-uso ed il riutilizzo con riciclo è la prima delle tappe per affrontare un percorso di sostenibilità. Siccome ci rendiamo conto delle “resistenze” del mercato e degli operatori, stiamo procedendo con un importante ente di certificazione e Accredia a realizzare una certificazione di processo che consenta solo alle aziende certificate serie di garantire al cliente la bontà del “prodotto riciclato”, da una parte, e dall’altra, torniamo, da queste “colonne” a chiamare a raccolta gli amici produttori e distributori di gas refrigerante (vergine e rigenerato) per la costituzione di un Consorzio nazionale del rifiuto refrigerante, come già abbiamo chiesto numerose volte insieme agli amici di Legambiente, così da offrire una strada virtuosa al mercato che elimini ogni tipo di problema per la poca affidabilità di alcuni attori su ambo i fronti che fanno solo un disservizio a tutto il settore della refrigerazione e climatizzazione.
Una nota sulla RIGENERAZIONE di Refrigerante in Italia
In Europa (EEA Report, No 20/20191994-2019 “Fluorinated greenhouse gases 2019”) si è arrivati a rigenerare 1829 tonnellate di HFC nel 2018. I siti italiani accreditati per un processo di Rigenerazione conforme alle specifiche internazionali AHRI (dai Report ICF International preparati per la Commissione UE) sono:
È ormai stato reso non operativo il sito di Avezzano di Hudson Technologies, che era il quarto sito certificato italiano.
Il rifiuto ritrattato con le varie tecnologie, viene normalmente reimmesso sul mercato dopo analisi (in laboratori interni certificati o di terza parte) che ne verificano la rispondenza alla norma ed etichettato per la commercializzazione “100% Rigenerato” secondo l’Art. 12 del Reg. 517/14.