Nonostante la teoria secondo cui le emissioni globali del potente gas serra HFC-23 sarebbero state quasi eliminate già nel 2017, un team internazionale di scienziati, guidato dall’Università di Bristol, ha misurato livelli atmosferici di questo gas in crescita e a valori record. L’HFC-23 ha pochissime applicazioni industriali. Tuttavia, i suoi livelli in atmosfera sono elevati perché esso è un prodotto secondario nella produzione di un altro gas refrigerante ancora largamente usato nei paesi in via di sviluppo, l’HCFC-22. Il processo di produzione prevede che HFC-23 venga semplicemente rilasciato in atmosfera. Ma poiché si tratta di una gas serra molto potente – ha un GWP superiore a 12.000 – a livello internazionale è stato dato il via a una serie di sforzi per catturarlo e distruggerlo, anziché rilasciarlo in atmosfera. Questi sforzi avrebbero dovuto portare a misurazioni di tale gas in atmosfera ben diverse da quelle invece registrate dai ricercatori di Bristol.
Impegni internazionali
A partire dal 2015, India e Cina, ritenute le principali emettitrici di HFC-23 perché maggiori produttrici di HCFC-22, hanno annunciato piani ambiziosi per attenuare le emissioni di tale gas. Ad esempio, nel 2016 il Governo indiano, durante la 28esima riunione delle Parti del Protocollo di Montreal a Kigali, in Ruanda, ha annunciato che avrebbe messo in atto una legislazione nazionale che imponesse il controllo delle emissioni di HFC-23, richiedendo ai cinque produttori indiani di HCFC-22 di catturare e incenerire l’HFC-23 in modo che non venisse rilasciato nell’atmosfera. Con questa legislazione, l’India ha teoricamente annunciato al mondo che avrebbe controllato le emissioni di HFC-23.
Nel suo contributo previsto, determinato a livello nazionale (INDC), presentato nel giugno 2015, la Cina ha ribadito il suo impegno ai sensi del Protocollo di Montreal di ottenere un controllo efficace sulle emissioni di HFC-23 entro il 2020. Nel 2015, la Commissione nazionale cinese per lo sviluppo e le riforme (NDRC) ha annunciato di voler conseguire l’abbattimento di tutte le emissioni di HFC-23 entro il 2019.
A livello internazionale le emissioni di HFC ad alto GWP sono controllate dall’emendamento di Kigali. Per essere conformi all’emendamento Kigali al Protocollo di Montreal, i paesi che hanno ratificato l’accordo sono tenuti a distruggere l’HFC-23 per quanto possibile.
L’accordo però non solo è entrato in vigore nel 2020 – mentre le emissioni registrate sarebbero del periodo 2017-2018 – ma né India né Cina lo hanno ratificato. Per questo motivo – ci tiene a sottolineare Clare Perry, responsabile delle campagne climatiche della ong internazionale Environmental Investigation Agency (EIA) – queste elevate emissioni non devono e non possono esser attribuite a una mancanza dell’emendamento di Kigali.
Surprise, Surprise!!
Ad ogni modo, in risposta alle misure e impegni dei due Paesi, gli scienziati si aspettavano di vedere diminuire le emissioni globali di quasi il 90% tra il 2015 e il 2017, il che si sarebbe dovuto rispecchiare in una diminuzione dei livelli atmosferici. Ciò che invece il team di ricercatori ha rilevato e pubblicato in un articolo del 21 gennaio nella rivista Nature Communications, è che le concentrazioni di tale gas aumentano e hanno raggiunto un record nel 2018.
Il dottor Matt Rigby, coautore dello studio, è un lettore di chimica atmosferica presso l’Università di Bristol e membro dell’Advanced Global Atmospheric Gases Experiment (AGAGE), che misura la concentrazione di gas serra in tutto il mondo. Egli ha dichiarato: «Quando abbiamo visto gli importanti impegni per ridurre le emissioni di India e Cina, siamo stati entusiasti e abbiamo dato un’occhiata da vicino ai dati atmosferici. Questo potente gas serra è aumentato rapidamente nell’atmosfera negli scorsi decenni e gli impegni presi avrebbero comportato che l’aumento avrebbero dovuto fermarsi quasi completamente nel giro di due o tre anni. Questa sarebbe stata una grande vittoria per il clima».
Il fatto che questa riduzione non si sia concretizzata e che, invece, le emissioni globali siano effettivamente aumentate, è un rompicapo che può avere implicazioni per il protocollo di Montreal, il trattato internazionale che è stato progettato per proteggere l’ozono stratosferico.
Ombre cinesi
Kieran Stanley, autore principale dello studio, ricercatore in visita presso la Scuola di Chimica dell’Università di Bristol e ricercatore post-dottorato presso l’Università Goethe di Francoforte, ha aggiunto: «Anche se Cina e India non sono ancora vincolate dall’emendamento, il loro impegno le avrebbe messe in rotta per essere coerenti con Kigali. Tuttavia, sembra che ci sia ancora del lavoro da fare. Il nostro studio rileva che è molto probabile che la Cina non abbia avuto la stessa efficacia nel ridurre le emissioni di HFC-23 come riportato. Tuttavia, senza ulteriori misurazioni, non possiamo nemmeno essere sicuri che l’India sia stata in grado di attuare il suo programma di abbattimento». Se le riduzioni delle emissioni di HFC-23 fossero state così imponenti come affermato negli impegni ufficiali, i ricercatori stimano che tra il 2015 e il 2017 avrebbe potuto essere evitato l’equivalente di un intero anno di emissioni di CO2 della Spagna. Rigby ha aggiunto: «Ora speriamo di poter lavorare con altri gruppi internazionali per quantificare meglio le emissioni individuali dell’India e della Cina utilizzando dati e modelli regionali, piuttosto che globali».
EIA: crimine di proporzioni epiche
Anche EIA ha reagito alla pubblicazione di questi dati dell’Università di Bristol, definendo il rilascio in atmosfera di HFC-23 “un crimine climatico di proporzioni epiche”. Clare Perry ha aggiunto: «Abbiamo 50 centrali elettriche a carbone di emissioni di gas a effetto serra all’anno dal rilascio di HFC-23, laddove invece non dovrebbe essercene quasi nessuna. E questo nonostante tali emissioni possano essere prevenute in modo conveniente e che tutti i principali paesi produttori abbiano preso impegni per farlo». Anche se il documento Nature non individua esplicitamente la fonte geografica delle emissioni, anche Perry ha affermato che è altamente probabile che la Cina svolga un ruolo significativo in questo caso, dato che dispone del 68% della capacità produttiva globale per l’HCFC-22 e, in quanto tale, è il paese che più produce HFC-23.
Eventi destabilizzanti per il clima e per gli impegni internazionali
Poco tempo fa un altro crimine ambientale ha riguardato il settore delle molecole fluorurate in modo inaspettato: la notizia di una possibile produzione illegale di CFC-11, una sostanza che distrugge l’ozono. In questo caso è stato provato che il rilascio proveniva dalla Cina. Parlando di questo precedente, Perry sottolinea una differenza sostanziale con il più recente caso legato a HFC-23: «I due eventi sono molto differenti perché il CFC-11 è controllato ed ufficialmente vietato da tempo mentre HFC-23 è sotto controllo ufficiale solo dal 2020 con Kigali». Ciononostante, si tratta di un evento critico perché gli Stati hanno preso impegni che a quanto pare non sono riusciti a rispettare appieno. «Questo merita un rinnovato sforzo da parte della Cina per garantire zero emissioni di HFC-23 e un rinnovato sforzo da parte del Protocollo di Montreal nel controllare le sostanze che riducono l’ozono come l’HCFC-22 che vengono utilizzate nella produzione di altre sostanze chimiche. Cina, India e tutti i paesi con produzione di HCFC-22 devono indagare e verificare immediatamente le loro emissioni di HFC-23». Perry ha concluso: «Dopo la produzione illegale cinese e l’uso di CFC-11 vietato, questo è l’ennesimo grosso colpo alla stabilità del clima del pianeta. Tutte le possibili fonti di emissioni di HFC-23 devono essere studiate ed eliminate immediatamente»
Pecora nera tra gli HFC
L’HFC-23 ha già una reputazione molto negativa dopo che in passato è stato rivelato che alcuni produttori di HCFC-22, principalmente in Cina e India, stavano deliberatamente massimizzando la produzione di HFC-23 indesiderato solo per ricevere crediti di carbonio per la sua distruzione finale. Quando questo è stato smascherato, l’Unione europea nel 2011 ha eliminato i crediti di carbonio per l’HFC-23 dal suo sistema di scambio di quote di emissione. Sia la Cina che l’India si sono allora impegnate a continuare a distruggere l’HFC-23 attraverso misure nazionali, la prima in risposta al finanziamento di 385 milioni di dollari dal Protocollo di Montreal per eliminare gradualmente la produzione di HCFC-22, un gas che danneggia lo strato di ozono.
Velocizzare il phase down di sostanze dannose per il clima
In sintonia con quanto affermato da EIA, anche il documento in Nature conclude che le riduzioni delle emissioni segnalate dal 2015 non sono state attuate con successo, oppure che esiste una produzione sostanziale e non dichiarata di HCFC-22 da cui viene rilasciato l’HFC-23 oppure una combinazione di entrambe le cose.
Alla domanda se questi crimini potrebbero essere meglio controllati riducendo il gap temporale di riduzione delle sostanze dannose per il clima tra paesi sviluppati e gli altri, Clare Perry afferma: «Non credo che sia da ridurre il gap quanto piuttosto che si debba accelerare il phase down su tutti i fronti, sia nei paesi sviluppati che non. Se pensiamo che i paesi in via di sviluppo stanno ancora eliminando gli HCFC, si capisce quanto ancora ci sia da fare per eliminare gli HFC».