Emissioni CFC-11: un nuovo articolo su Nature

Credits: EIA

Un nuovo articolo pubblicato su Nature esamina il potenziale ritardo nel recupero del buco dell’ozono causato da impreviste emissioni di CFC-11.

Dopo che gli scienziati hanno segnalato un enorme, inspiegabile picco delle emissioni di gas CFC vietato nell’atmosfera l’anno scorso, gli investigatori sotto copertura dell’EIA – Environmental Investigation Agency –  hanno potuto ricondurre tale effetto alla produzione e all’uso illegali di CFC-11 nel settore della schiuma di poliuretano in Cina.

Il nuovo articolo pubblicato su Nature dal titolo  “Delay in recovery of the Antarctic ozone hole from unexpected CFC-11 emissions”, esamina i potenziali danni causati. Secondo il documento, il ritardo potrebbe essere di pochi anni se un’azione immediata per fermare le emissioni avesse successo, fino a 18 anni se le emissioni continueranno senza sosta.

In risposta ai risultati, Clare Perry, responsabile delle campagne per il clima della EIA, ha dichiarato: «Siamo d’accordo con gli autori che lo scenario peggiore di un ritardo di 18 anni nella ripresa dello strato di ozono è improbabile».

La Cina ha reagito molto rapidamente alle indagini di EIA nel 2018 e ha compiuto uno sforzo di applicazione a livello nazionale che è in corso e gli ultimi dati atmosferici indicano che le emissioni stanno iniziando a scendere in risposta a queste azioni.

«D’altra parte, la probabilitĂ  di un’azione efficace immediata per fermare le emissioni illegali con conseguente ritardo di pochi anni è uno scenario piuttosto ottimistico».

Permangono notevoli incertezze su quanto è realmente accaduto e sull’efficacia delle azioni portate avanti finora. La Cina ha individuato solo tre siti di produzione illegali di CFC-11, con capacitĂ  relativamente piccole che non possono spiegare il livello di produzione illegale di CFC-11 stimato dagli esperti del protocollo di Montreal (40.000-70.000 tonnellate all’anno).

«Un problema fondamentale è che non conosciamo l’effettivo livello di produzione di CFC-11 e le quantitĂ  ora contenute in nuovi materiali di schiuma (la ‘banca’), che alla fine si perderanno nell’atmosfera. Questo ha un grande impatto sulle emissioni future perchĂ© le emissioni di tali molecole durante il processo di produzione della schiuma (e la conseguente quantitĂ  di CFC-11 presente nel prodotto schiuma) variano ampiamente».

Il rapporto 2018 di EIA “Tip of the Iceberg” ha stimato che questa banca di CFC-11 nei prodotti in schiuma creati fino al 2017 potrebbe essere equivalente a quasi quattro miliardi di tonnellate di CO2 (830.000 tonnellate di CFC-11).

«Stiamo esortando la Cina a rafforzare e migliorare i suoi sforzi di applicazione e intraprendere test completi delle schiume per comprendere meglio la situazione» ha aggiunto Perry.