F-gas: il lato oscuro. Un’intervista

Andamento della riduzione di F gas secondo i dati presentati da EEA nel rapporto Fluorinated Greenhouse Gases 2018. Cliccare per ingrandire

I dati della Commissione europea sull’andamento del phase-down dei refrigeranti ad alto GWP sono positivi. Secondo la Commissione il regolamento funziona e i risultati si vedono nella diminuzione dei refrigeranti immessi sul mercato che, ufficialmente, va secondo i piani.

Ma la realtà sembra essere un poco differente. Negli ultimi tempi sono state rese note tutta una serie di calcoli e denunce che attestano l’esistenza sul mercato europeo di un traffico illegale di refrigeranti. Le denunce arrivano da più parti. Molto spesso sono le stesse aziende distributrici o produttrici a riportare il problema. Ultimamente Honeywell ha cercato di quantificare questo traffico – compito che spetterebbe, per altro, alle autorità preposte e non dovrebbe essere lasciato alla buona iniziativa privata. Va da sé che queste stime e quelle presentate nell’ultimo rapporto sul traffico illegale di refrigeranti redatto dalla ong EIA – Environmental Investigation Agency, e dall’inequivocabile titolo “Doors wide open”, sono le uniche stime che esistono per un problema reale e dilagante. E non sono numeri a cui si può restare indifferenti: almeno un 20% di refrigeranti, ovvero un quinto di quanto vi è sul mercato, è fuori quota. Un

I volumi di refrigerante importati anche solo dalla Cina verso l’Europa e i paesi limitrofi non rispecchiano gli andamenti imposti dal Regolamento F gas. (Credits Honeywell) Cliccare per ingrandire

problema non da poco e che stravolge completamente i calcoli ufficiali della riduzione delle emissioni di CO2 e del phase-down dei refrigeranti.

In dialogo con Davide Palumbo, General Manager Operations, Mitsubishi Heavy Industries Air Conditioning Europe LTD (MHIAE).

ZZ: Possiamo partire dal presupposto che i calcoli ufficiali della riduzione degli F-gas siano da rivedere almeno del 20%?

Diciamo che sicuramente non rispecchiano più la realtà. Con i numeri che circolano, l’affermazione che il phase-down stia funzionando, anche meglio di quanto ci si aspettava, suona quanto meno ridicola. È naturalmente difficile stimare l’entità reale di un mercato illegale, appunto perché è illegale, quindi non è possibile quantificarlo. Se ne ha un’idea solo in base alla diminuzione delle vendite di refrigerante e soprattutto in base al decremento dei prezzi del refrigerante. Personalmente penso che sia anche peggio di quanto fino ad ora stimato…

ZZ: Perché peggio?

Perché tutt’oggi – e son passati 4 anni dalla implementazione del Regolamento – non esiste in Europa una sistematica e severa registrazione di quanto viene importato. Non vi sono controlli incrociati tra le dogane, per cui non si ha nemmeno un controllo reale dell’utilizzo delle quote. Le dogane ancora oggi non hanno gli strumenti per controllare l’importazione di F-gas e quindi, come dice EIA, le porte sono ampiamente aperte. Tanto più che nei paesi confinanti all’Unione europea non vige la F-gas, non si ha dunque nessun tipo di controllo su quanto viene esportato. Ad oggi in Europa non esiste una struttura regolatoria normativa che preveda l’obbligo di dichiarare o registrare le tonnellate di CO2 equivalenti al momento delle importazioni perché se questo accadesse, allora sarebbero possibili controlli all’importazione.

Questa mancanza di controlli è un “invito” a delinquere…

Diciamo che abbiamo una normativa – la normativa F-gas – che sulla carta è assolutamente fantastica e perfetta ma cade in una maniera eclatante sulla implementazione pratica perché si basa sul presupposto che ognuno faccia il proprio dovere… che è quanto di più lontano dalla realtà ci sia.

Su che dati si basa la Commissione per redigere le statistiche di andamento del phase-down?

Il Direttorato generale per il clima (DG Clima) lavora con i dati che arrivano dai portali F gas, che a loro volta arrivano da un’autodichiarazione delle aziende, validata da un Auditor esterno. Circa la competenza dell’Auditor esterno si potrebbe aprire un capitolo a parte: secondo la normativa si può scegliere tra un ente accreditato (quanti lo fanno?) e chi normalmente certifica il bilancio. Considerando i costi dettati dalla competenza di enti accreditati, penso sia una scelta economicamente valida per le piccole imprese utilizzare chi certifica il bilancio aziendale. Chiaramente questi sono massimi esperti nella normativa F-GAS, giusto?

Che possibilità ci sarebbe per arginare questo problema

In realtà ve ne sarebbe più d’una. Innanzitutto, occorrerebbe un intervento da parte delle aziende produttrici e distributrici che dovrebbero, ciascuna per sé, quantificare la diminuzione delle vendite di refrigerante per tipologia di refrigerante. Questi dati, insieme, potrebbero dare un ottimo termometro della diminuzione complessiva delle vendite che, al netto della diminuzione prevista dal phase-down, darebbe un’idea concreta delle tonnellate di CO2 equivalenti che circolano fuori quota. Ma questo non succede perché nessuna azienda vuole far sapere alle altre cosa e quanto vende. Naturalmente se questo venisse fatto tramite un ente terzo in maniera anonima allora potrebbe funzionare…

E dal punto di vista delle autorità?  

Sarebbe necessario, innanzitutto, implementare controlli doganali all’importazione. Le dogane europee, inclusa quella italiana non hanno ancora chiaro come debba essere classificata una apparecchiatura pre-caricata e quale sia la documentazione necessaria da esibire all’atto dell’importazione, ossia la dichiarazione di conformità prevista dal regolamento di esecuzione (UE) 2016/879. Inoltre, bisognerebbe implementare una normativa che favorisca il recupero dei refrigeranti contenuti negli impianti e un loro riciclo o rigenerazione. Questo lenirebbe la mancanza di refrigeranti dovuti al phase- down e limiterebbe il ricorrere a refrigeranti illegali.  Infine, le sanzioni: l’articolo 25 del regolamento (UE) 517/2014 recita “le sanzioni emanate devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive”. Al momento non esistono sanzioni di sorta in Europa.  Implementare dei divieti e non implementare controlli e sanzioni è come mettere un limite di velocita senza installare gli autovelox.

Ma nulla di tutto ciò avviene?

Se le Dogane fossero state coinvolte in fase di preparazione della normativa, probabilmente oggi non ci si troverebbe a discutere del problema negli stessi termini in cui si propone oggi. Ma del senno di poi ne sono piene le fosse, come dice il vecchio adagio. La mia impressione è che purtroppo non sia ancora chiaro a tutti gli stakeholders cosa sta succedendo e gli impatti economici (e sociali) che ne conseguono. Questi suggerimenti li ho più volte fatti direttamente a DG Clima (e non solo io) e DG TAXUD. Il vero problema adesso è più a livello locale (Stati membri) che a livello centrale. Esiste una collaborazione attiva tra DG Clima e DG Taxud che però non permette di passare ad uno stato di controlli all’importazione ottimale per via della resistenza di taluni Stati Membri all’introduzione delle Tonnellate di CO2eq come unita di misura obligatoria da dichiarare al momento dell’importazione. Inoltre ho presentato il problema anche al Ministro dell’Ambiente italiano in una lettera inviata a febbraio e so che a breve un simile documento verrà mandato ad altri Stati Membri.

Risultato?

Dal Ministero ancora nessuna risposta, nessuna considerazione. DG Clima, anche per la pressione esercitata da più parti, afferma che la lotta alla illegalità è una sua priorità. Però mi sembra che le acque non si smuovano, che non succeda nulla.

Come uscire da questa stasi, forse non solo apparente?

Together we stand, divided we fall”. Sembra retorica, ma in realtà questo è quello che serve. Cooperazione, coordinazione. Il suggerimento di utilizzare una struttura che si occupi della raccolta e analisi dei dati in maniera anonima per fare una valutazione per lo meno oggettiva dell’impatto economico (dazi doganali evasi, riduzione delle corporate taxes a causa della perdita di profitto e cosi’ via) non è del tutto sbagliato perchè permetterebbe a competitors di contribuire alla mappatura del problema senza rivelare informazioni importanti (costo delle materie prime sulle quali si pagano i dazi all’importazione, breakdown delle vendite per tipologia di refrigerante e cosí via). Lo stesso concetto andrebbe poi allargato agli stati membri, facendo presente che se le importazioni illegali avvengono per lo più nelle cosiddette “zone di frontiera” (la Grecia è sicuramente una delle più colpite per via della sua posizione geografica tra Turchia e altri paesi che non fanno parte della Comunità Europea), l’impatto è comunque a livello Europeo.