Un recente documento pubblicato dal Rocky Mountain Institute spiega le motivazioni e le idee che hanno portato un gruppo di studiosi, di istituti, di filantropi a lanciare il Global Cooling Prize.
Tra di esse la convinzione che, dati alla mano, le soluzioni convenzionali sulla neutralizzazione delle emissioni di CO2 derivanti dal settore del condizionamento da camera non saranno sufficienti a neutralizzare l’aumento di emissioni di CO2 derivanti dalla enorme futura richiesta di condizionamento.
Tale convinzione deriva da una serie di analisi, presentate nel documento in cui si calcola quanta riduzione possono raggiungere le attuali tecnologie, al meglio della loro affermazione e quante emissioni saranno causate dalla crescita prevista di condizionatori (AC).
Per facilitare l’analisi e ai fini della discussione, si assume per certo il superamento ottimale della maggior parte delle barriere che portano a progressi senza ostacoli verso le strategie raccomandate. Si assume inoltre la piena realizzazione di tutte le misure atte a diminuire le emissioni di CO2, ad esempio l’emendamento di Kigali. Tale scenario ottimistico, ma non necessariamente realistico, assume che da qui al 2050:
- vi sia stretta conformità con i codici energetici degli edifici progressivamente più rigorosi che si concentrano sul miglioramento dell’involucro edilizio;
- si applichino le pratiche migliori per il recupero del refrigerante al fine vita;
- vi siano miglioramenti accelerati nell’efficienza operativa delle unità di condizionamento dell’aria di nuova installazione;
- si diminuisca l’uso di HFC esattamente come previsto dall’emendamento di Kigali.
Il risultato? Come mostra la figura 2, l’analisi suggerisce che la neutralizzazione
dell’impatto sul clima del previsto aumento del numero di condizionatori tra oggi e il 2050 richiede, una riduzione di quasi 75 gigatonnellate di emissioni cumulative. Lo scenario migliore, quello descritto poc’anzi, indica il raggiungimento di una diminuzione al massimo di 40 gigatonnellate delle emissioni entro il 2050, metà delle quali derivano da una presunta piena conformità all’obbligo di riduzione graduale dell’HFC previsto dall’emendamento Kigali che, tra l’altro, ad oggi non è stato ancora ratificato da molti dei paesi firmatari.
Il messaggio che si vuole fare passare con questa analisi è dunque: le soluzioni convenzionali anche al massimo dei loro risultati, non possono neutralizzare l’impatto sul clima della crescita esponenziale dei condizionatori da camera. Rimane un gap di almeno 35 gigatonnellate da colmare.
Secondo gli autori dello studio, l’unica possibilità, risiede nella riduzione delle emissioni indirette, che sono da tre a cinque volte maggiori delle emissioni dirette e che tuttavia vedono solo una riduzione marginale, rispetto al necessario, con le strategie convenzionali. Il miglioramento decisivo e radicale della tecnologia in questione è dunque la chiave per questa riduzione. Esiste, cioè, una chiara esigenza di tecnologie di climatizzazione radicalmente più efficienti, come unico percorso sicuro per neutralizzare gli impatti significativi del raffreddamento e per tenerci in linea con gli impegni globali sui cambiamenti climatici.
«È chiaro che le soluzioni convenzionali, i cambiamenti incrementali e persino lo sviluppo di fonti rinnovabili ai ritmi attuali non saranno sufficienti a neutralizzare le crescenti emissioni dovute all’aumento senza precedenti della domanda di aria condizionata. Il mondo ha bisogno di un cambiamento radicale nella tecnologia di raffreddamento per il comfort, che può essere efficace e sicuramente compensare l’aumento di 5 volte della domanda di energia di raffreddamento nelle economie in via di sviluppo e metterci sulla strada del raffreddamento con meno riscaldamento» si legge nel documento manifesto alla base del Global Cooling Prize.
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