Inspiegabile aumento di CFC-11 nell’atmosfera

La produzione di clorofluorocarburi (CFC) è stata bandita a livello internazionale dal Protocollo di Montreal nel 1987 perché le emissioni di CFC portano alla distruzione dello strato di ozono stratosferico. La linea blu mostra la concentrazione atmosferica di uno di questi composti, CFC-11, in parti per trilione in volume (p.p.t.v.); la linea continua indica le misurazioni fino al 2013 e la parte tratteggiata indica la concentrazione proiettata, supponendo che non venga prodotto alcun nuovo CFC-11. Montzka et al.1 riferiscono che la concentrazione atmosferica di CFC-11 negli ultimi anni (la linea rossa, approssimata) sia maggiore di quanto atteso e quindi il tasso di declino dei livelli di CFC-11 è più lento del previsto. (courtesy: NATURE)

In un articolo pubblicato il 16 maggio dalla rivista Nature, Stephen A. Montzka  del NOAA Earth System Research Laboratory e altri ricercatori riportano una scoperta inaspettata nelle misurazioni a lungo termine di CFC-11, uno dei più potenti composti che riducono lo strato di ozono: la sua concentrazione atmosferica sta diminuendo molto più lentamente di quanto ci si aspetterebbe in base alle sue fonti e ai suoi pozzi conosciuti. Ciò farebbe pensare a un nuovo aumento delle emissioni, in barba alle normative internazionali.

La ricerca odierna sullo stato di salute dello strato di ozono stratosferico si basa non solo sulle analisi dirette dello strato stesso, ma anche sulle analisi della concentrazione atmosferica delle sostanze  che lo riducono, calcolando che esse diminuiscano come atteso. Questo per un motivo molto semplice: cercare di capire se lo strato di ozono si stia riprendendo solo sulla base delle  osservazioni dirette su di esso è particolarmente difficile a causa delle variazioni naturali a cui lo stesso è sottoposto, ai cambiamenti climatici e all’inquinamento. Invece, monitorare la concentrazione atmosferica di sostanze che lo riducono, come CFC-11,  è un test più diretto dell’efficacia del protocollo di Montreal.

Anche con queste analisi rimangono comunque delle difficoltà. Ad esempio, per queste sostanze chimiche a vita lunga, la variabilità naturale nel trasporto di masse d’aria tra la sorgente e le regioni di eliminazione delle sostanze chimiche può influenzare il tasso di declino atteso.  Tuttavia le concentrazioni generali, cosi come le differenze di concentrazioni tra le regioni “fonte” di emissioni (soprattutto l’emisfero nord) e le zone “pozzo” (la stratosfera) diminuiscono nel tempo dopo la cessazione delle emissioni.

E qui si inseriscono le osservazioni di Montzka et al. che, pur avendo compiuto un rigoroso tentativo di tenere conto della variabilità naturale nel trasporto di masse d’aria tra le diverse regioni dell’atmosfera per calcolare come si sarebbero potuti generare i livelli osservati di CFC-11, hanno dovuto concludere che, considerando tutte le variabili possibili, non si riesce a spiegare il recente rallentamento del tasso di declino del CFC  e che solo nuove emissioni possono spiegare questi andamenti.

Nature conclude che lo studio di Montzka e dei colleghi sottolinea ancora una volta che le normative ambientali non possono essere date per scontate ma devono essere salvaguardate e che è necessario un monitoraggio per garantire la conformità ad esse. Le osservazioni continue sull’ambiente sono cruciali: non solo le misurazioni satellitari che forniscono una copertura globale, ma anche le letture dalle reti di misurazione di tutto il mondo che producono dati in loco più precisi. Presi insieme a modelli che comprendono sia la troposfera che la stratosfera, tali dati possono essere utilizzati per fare inferenze difendibili sulle fonti di sostanze chimiche inquinanti.

QUI l’articolo su Nature