COP19: miopia diffusa

courtesy: corporate europe

 

 

 

 

 

 

Si è concluso l’incontro sul clima tenutosi a Varsavia nelle ultime due settimane. I temi principali che erano sul tavolo delle negoziazioni possono essere riassunti nei seguenti punti:

– impegni di riduzione per il periodo 2013-2020;

– procedura per definire gli impegni nel periodo 2020-2050;

– azioni per l’adattamento;

– loss and damage;

– impegni finanziari (per mitigazione, adattamento e danni residui).

Pochi affermano – probabilmente più per diplomazia che per convinzione – di essere soddisfatti di come sono andate le discussioni. La maggior parte dei commenti fino ad ora concordano invece sul fatto che i risultati sono stati alquanto deludenti. Non lo afferma solo Greenpeace che lascia sapere: “Il governo polacco ha fatto del suo meglio per trasformare questo negoziato in una vetrina per l’industria del carbone. Assieme al cedimento di Giappone, Australia e Canada, e all’assenza di leadership dagli altri Paesi, i governi convenuti a questa Conferenza hanno preso a schiaffi coloro che stanno soffrendo per le pericolose conseguenze del cambiamento climatico”; non solo il WWF che tramite il suo sito afferma: “La conferenza sul clima di Varsavia, che avrebbe dovuto essere un passo importante nella giusta transizione verso un futuro sostenibile, si avvia a offrire praticamente il nulla”. Anche sul sito ufficiale della confederazione svizzera in un comunicato stampa si legge: “I risultati della conferenza sul clima di Varsavia sono miseri. Infatti non si è potuto decidere l’inizio dell’elaborazione di piani di riduzione post 2020 da parte delle Nazioni. (…) Solo nel settore delle foreste ci sono stati veri successi” Insomma: niente impegni concreti. Tutti vogliamo limitare il cambiamento, a parole, ma non nei fatti.

Cosa è andato storto? Tante le analisi che si leggono, tante le opinioni, ma si ha – a posteriori – un poco l’amara impressione che questo incontro fosse una morte annunciata: la sede in Polonia – paese fortemente dipendente dall’economia del carbone; in parallelo o quasi con una conferenza appunto sull’economia del carbone; con partner in evidente conflitto di interessi. Insomma una buona vetrina per la diplomazia, un po’ meno per il clima. E infatti i risultati confermano. A Varsavia si sono sentiti ritornelli già noti: perché mai i paesi in via di sviluppo dovrebbero prendere impegni per colpe che solo minimamente ricadono su di loro? Per motivi tanto semplici da apparire triviali: perché quando l’epoca industriale è iniziata – e con essa la storia delle emissioni – non si aveva né coscienza né scienza del cambiamento climatico; perché il clima non guarda in faccia a nessuno e colpisce grandi e piccini, belli e brutti, colpevoli o meno; perché non voler agire oggi significa dover pagare molto di più domani (e tutti); perché un problema globale va affrontato in maniera globale. Varsavia è stato un altro dialogo tra sordi, che maggiormente rattrista se fatto all’indomani di catastrofi come quella che ha colpito Filippine, Sardegna, Calabria.. e viene da domandarsi quante Filippine ancora ci vorranno per convincerci dell’urgenza di una azione. Sorprende infine che  l’impegno per il clima sia visto più come un castigo ed un dovere che come la possibilità di invertire la rotta di queste economie fuori controllo e basate su un principio insostenibili; la possibilità di dirigere il timone verso economie basate su nuovi parametri: sostenibilità, benessere, democrazia energetica. A ben vedere l’unica via per sopravvivere, una via che necessariamente dovrà essere imboccata.. ed essere pionieri ha i suoi vantaggi!