Acetone, metanolo, metiletilchetone, diclorometano, benzene, toluene per citare soltanto alcune delle sostanze recuperate. Vasto il campo delle applicazioni: si va dal trattamento delle pelli alle raffinerie, dai distretti di lavorazione dei metalli alle industrie farmaceutiche, dai comprensori che producono inchiostri, resine, solventi e tessuti ai poli petrolchimici. Frequenti anche le applicazioni nello stoccaggio e nella movimentazione dei solventi. I sistemi di condensazione, in particolare quello per refrigerazione e quello criogenico, rappresentano l’avanguardia nella trasformazione di stabilimenti a volte molto inquinanti in strutture efficienti che preservano l’ambiente, permettono il recupero di sostanze spesso di elevato valore economico. Il tutto tramite tecnologie di gran lunga più sicure rispetto a tutte quelle utilizzate da decenni per abbattere gli inquinanti.
Tre livelli di freddo per abbattere le emissioni
In un gradiente che va dai -15° ai -160° si dipana la gamma delle tecnologie basate sul freddo che permettono l’abbattimento dei flussi inquinanti delle industrie che impiegano prodotti chimici. La gran parte dei composti organici volatili può essere sottoposta a condensazione. Il principio è quello del passaggio dallo stato gassoso a quello liquido tramite l’impiego di un refrigerante. La tecnologia si basa sulla diminuzione di tensione del vapore delle sostanze organiche volatili da abbattere raffreddandole. Il risultato, dunque, è la condensazione degli inquinanti e la possibilità di trattarli (e, spesso, recuperarli) anziché disperderli nell’atmosfera. Tra gli utilizzi più diffusi ci sono gli impianti a valle dei reattori dell’industria farmaceutica o a valle delle camere di lavaggio di metalli, pelli e altri prodotti. Numerose le installazioni per l’abbattimento dei solventi clorurati. La gran parte degli impianti installati hanno portate d’aria non molto elevate (sotto i 500 metri cubi l’ora) ma cresce di continuo il numero di impianti a maggiore portata, soprattutto intorno ai 1.000-1.500 metri cubi l’ora. I grandi impianti criogenici arrivano a trattare tra i cinquemila e diecimila metri cubi l’ora.
Temperatura, pressione, tipo di inquinante, modalità di contatto tra refrigerante e aria da trattare sono le variabili che contano. In base ad esse si realizzano tre tipi di condensazione: quella basata su dispositivi, per così dire, convenzionali, quella per refrigerazione e la condensazione criogenica. La condensazione basata sul freddo può essere utilizzata anche a monte di un ulteriore sistema di condensazione, di solito ad adsorbimento, allo scopo di pretrattare l’aria affinché non sovraccarichi l’impianto a valle.
I “convenzionali”
A un primo livello troviamo i condensatori convenzionali, i più semplici, per quali si rende necessaria una temperatura che varia tra i -10° e -15°. Sono utilizzabili se la temperatura del flusso da depurare non supera i 4°. Per ottenere il sottozero che serve al trattamento dell’inquinante si utilizzano ammoniaca e soluzioni saline. I condensatori convenzionali sono di due tipi: a miscela e a superficie. Nel primo caso flusso d’aria da trattare e liquido di raffreddamento sono messi in contatto diretto. Il meccanismo è simile a quello utilizzato per i lavaggi. I principali vantaggi sono la semplicità e i costi contenuti. Il punto critico, invece, è dato dal miscelamento dei contaminanti condensati con l’acqua: questo obbliga a maggiori trattamenti delle acque di scarico oppure comporta ulteriori costi per recuperare i contaminanti.
I condensatori a superficie si basano sull’impiego di scambiatori di calore realizzati tramite fasci di tubi. C’è un cilindro all’interno del quale, parallelo al suo asse, corre un certo numero di tubi entro i quali fluisce il condensante. Il flusso d’aria calda da trattare fluisce all’esterno dei tubi ma dentro il cilindro: gli inquinanti a contatto con i tubi freddi condensano. Con questa tecnologia i costi (di realizzazione e di manutenzione) sono superiori rispetto ai condensatori a miscela ma il vantaggio è dato dal fatto che il contaminante non si miscela con il liquido di raffreddamento.
Il secondo livello refrigeranti compressi a -60°
Il passaggio ai sistemi di condensazione per refrigerazione è un salto nel sottozero di parecchie decine di gradi. I condensatori operano a partire da -30°/-40° e possono scendere anche sotto i -60°. Qui il meccanismo è sempre quello a superficie “tubiero”: il liquido refrigerante (di norma ottenuto tramite ammoniaca) scorre nei tubi di uno scambiatore di calore. Il flusso d’aria da depurare scorre a contatto con i tubi del
refrigerante e condensa i vapori contaminanti. Per via dell’assorbimento del calore dell’aria trattata, il refrigerante si trasforma in vapore che a sua volta viene compresso e condotto attraverso un ulteriore scambiatore termico: il calore viene ceduto e il refrigerante torna allo stato liquido. Il ciclo riprende dopo che il refrigerante compresso passa attraverso una valvola ad espansione. Vista la bassa temperatura raggiunta nella fase cruciale del trattamento, il grosso problema di questo tipo di condensazione – e come vedremo, anche in quelli a temperature più basse – è dato dalla presenza di umidità nel flusso da trattare. Essa può condurre alla formazione del ghiaccio sulla superficie dei tubi. Il ghiaccio, oltre che a creare danni al sistema, ne può ridurre in maniera importante l’efficienza. Una delle soluzioni trovate per superare questo problema è trattare il flusso d’aria da contaminare attraverso un precedente scambiatore di calore, affinché l’effluente mantenga una temperatura intorno ai 4°: tramite questo passaggio a monte è possibile condensare l’umidità prima che il flusso entri nel sistema di condensazione per refrigerazione.
La crio-condensazione
Azoto e biossido di carbonio sono i due refrigeranti più utilizzati nei sistemi di condensazione criogenici, strumentazioni dalle dimensioni importanti, annesse all’impianto produttivo, che permettono un’efficienza massima e un salto di qualità notevole nel trattamento delle emissioni. Qui la temperatura del refrigerante scende anche sotto i -160° mentre è possibile trattare flussi di aria con temperature fino a 80°. Le sostanze refrigeranti, con questo tipo di impianti, si perdono nell’atmosfera dopo l’utilizzo: la volatilità dei gas utilizzati per la refrigerazione fa dunque piazza pulita di qualsiasi problema di miscelazione con gli inquinanti.
Anche in questo caso i condensatori criogenici si dividono tra una versione più elementare e una più complessa. Nel primo caso il gas liquefatto scorre nei tubi di uno
scambiatore a fasci e assorbe il calore del flusso d’aria da trattare. Mentre avviene la condensazione dei contaminanti, il refrigerante, con lo scambio termico, passa allo stato gassoso e in quella forma viene disperso nell’aria. Per impedire che il contaminante si congeli sulle pareti esterne dei tubi entro i quali scorre il refrigerante si può installare un secondo scambiatore di calore in modo tale che uno scongela e l’altro provvede alla condensazione.
Il sistema più complesso è quello a doppio scambio di calore. In questo impianto c’è un primo scambiatore con il quale il refrigerante raffredda un fluido fino a poco oltre il punto di congelamento dell’inquinante. Quel fluido viene poi impiegato nello scambiatore utilizzato per la condensazione degli inquinanti che si trovano nell’aria da trattare.
Sempre tramite il ricorso al super freddo, è possibile realizzare condensatori criogenici per contatto: il gas refrigerante liquefatto viene distribuito tramite un sistema spray in una camera isolata nella quale viene in contatto con il flusso d’aria da trattare. Questa forma di condensazione a miscela ha il vantaggio di risolvere il problema del congelamento delle sostanze inquinanti grazie all’esiguità delle superfici mantenute sottozero.
Tra i leader europei nella condensazione criogenica c’è Polaris, la cui sede operativa si trova a Misinto (Monza-Brianza). L’azienda brianzola ha installato oltre duecento impianti in tutto il mondo, a cominciare dalle principali aziende chimiche e farmaceutiche. «Polaris si è fatta strada attraverso il ricorso a una serie di soluzioni innovative. I nostri impianti – spiega Stefano Poli, sales manager dell’azienda – riescono ad accettare e gestire la formazione di solido all’interno del condensatore, ottimizzando i cicli di sbrinamento e, quando richiesto, garantendo un funzionamento continuo dell’impianto. L’azoto recuperato può essere utilizzato come azoto gas ed essere di nuovo immesso nella rete aziendale. La condensazione criogenica – prosegue Poli – trova il suo migliore impiego nel trattamento di effluenti di processo, con concentrazioni di composti organici volatili relativamente elevate, portati fino cinquemila metri cubi ora. Le tecnologie sviluppate da Polaris hanno consentito di ottenere una concentrazione di composti organici volatili all’uscita dell’impianto anche di pochi ppm e di rispettare i requisiti richiesti dalle più severe normative ambientali europee. Il tutto senza che si renda necessario aggiungere altri dispositivi. Ciascun impianto è realizzato con una tecnica che prevede la prefabbricazione presso la propria officina, con drastica riduzione delle operazioni da effettuarsi presso lo stabilimento del cliente e conseguente vantaggio economico nonché la riduzione del tempo necessario alla messa in funzione. L’applicazione tipo riguarda l’industria farmaceutica, chimica e petrolchimica, centri di stoccaggio solventi, piattaforme di carico e scarico cisterne navi, industria per il trattamento e recupero solventi».[/box]
Un investimento che vale ma la manutenzione costa
Un conto costi-benefici che deve tenere conto di diverse variabili quello che prelude all’installazione di un sistema di condensazione basato sul trattamento criogenico. In prima battuta bisogna fare i conti con gli obblighi di legge: alcune sostanze incluse nei reflui, ad esempio quelle cancerogene, non vanno immesse dell’aria mentre per altre ci sono dei limiti. Altre valutazioni riguardano la portata, la frequenza e la temperatura delle emissioni da trattare, ma anche il valore dei contaminanti espulsi (se vale o meno la pena di recuperarli). Sulla base di quanto indicato dalle “best reference”, le migliori tecniche disponibili indicate dall’Unione europea nel trattamento delle emissioni del settore chimico, indica un costo medio di un impianto di condensazione criogenica in 500mila euro e costi operativi nell’ordine di un addetto al giorno per una settimana. Si scende a 5mila euro per un impianto basato sulla refrigerazione, con un costo del personale valutato in due ore la settimana e con l’impegno di una giornata piena di un addetto una volta l’anno.
Nel sistema criogenico i costi di monitoraggio dell’impianto non sono di poco conto. Anche perché il monitoraggio è essenziale per garantire la costante massima efficienza dell’impianto, che al momento, a seconda degli impianti, oscilla tra il 90% e il 99%.
Monitoraggio continuo essenziale
Gli impianti di condensazione criogenica sono di norma dotati di un pannello di controllo digitale. I parametri di rendimento sono essenzialmente tre: la temperatura dell’aria in uscita; il calo del differenziale di temperatura tra punto d’entrata e punto di uscita dei refrigeranti; i livello di pressione. La temperatura d’aria in uscita è importante perché se essa sale vuol dire che cala l’efficienza dell’impianto (in prima battuta per la formazione di ghiaccio). Se cala la differenza di temperatura tra ingresso e uscita del refrigerante vuol dire che diminuisce lo scambio di calore, cosa che riduce l’efficienza dell’abbattimento degli inquinanti (anche un controllo periodico della portata del refrigerante è importante); altra cosa da monitorare di continuo è la pressione: non deve andare incontro a cadute.
Distillazione criogenica per gas super puri
Un’applicazione confinante con la condensazione criogenica è la distillazione criogenica, un sistema completamente automatico e continuo che permette la depurazione di gas a bassa temperatura. Per la sua economicità, questo sistema è applicabile anche a portate non troppo elevate, vale a dire sotto i 100 metri cubi l’ora. Il principio di base è il frazionamento dell’aria liquefatta a bassa temperatura per la separazione dei suoi
componenti, principalmente azoto, ossigeno e argon. Le aziende italiane che possiedono il know out e l’esperienza per progettare questo tipo di impianti con potenzialità medio piccole non sono molte. Gli impianti realizzati da Polaris prevedono la distillazione tramite due colonne in serie (una per i composti più volatili e una per quelli più pesanti). Riscaldamento e raffreddamento vengono garantiti tramite circuiti ausiliari ad azoto, che, a diversi livelli di pressione, viene condensato nei ribollitori ed evaporato nei condensatori. Polaris ha sviluppato un processo per la depurazione di gas a bassa temperatura, basato su distillazione in due colonne in serie (una per i composti più volatili e una per quelli più pesanti). Riscaldamento e raffreddamento vengono forniti mediante un circuito ausiliario alimentato ad azoto. A diversi livelli di pressione, l’azoto viene condensato nei ribollitori ed evaporato nei condensatori. Il sistema può essere affiancato da un pre-trattamento impostato sulla base degli inquinanti che si vuole eliminare. La gamma delle applicazioni, anche qui, è notevole: recupero o purificazione di argon, idrogeno, monossido di carbonio, ossigeno, idrocarburi leggeri. E’ anche possibile la produzione di gas ultra puri.
[box title=”Intervista all’Ingegner Alessandro Casula, professore associato di gestione ambientale del Politecnico di Milano” color=”#165ae3″] Freddo e abbattimento degli inquinanti industriali: un binomio che prende sempre più piede. Quali i vantaggi?Il vantaggio principale è quello di poter garantire un recupero, in alcuni casi prossimo al cento per cento dei composti organici volatili (Cov), a cominciare dai solventi, separati dall’aria inquinata. Gli altri sistemi di abbattimento degli effluenti, anche i più efficaci, non offrono quella possibilità. Poi c’è il discorso dei vincoli legislativi, del massimo abbattimento delle emissioni, dell’adozione delle migliori tecniche disponibili e della ricerca di una maggiore efficienza e compattezza del sistema produttivo: tutti elementi che contano.
Facciamo qualche comparazione con gli altri sistemi
Bisogna tener conto delle portate, del tipo di effluente, vale a dire del tipo di inquinante, delle valutazioni sui costi e sul valore dei solventi. La cosa più facile è bruciare gli sfiati tramite torce, termo-distruttori, sistemi più o meno catalitici: una soluzione efficace, impiegata da decenni, che però non permette il recupero degli effluenti e, soprattutto, pone evidenti problemi di natura ambientale. Se non termo-distruggo, posso abbattere i composti tramite filtri a carboni attivi: una matrice solida porosa che tiene inglobata le sostanze. Qui perdo il prodotto come rifiuto e devo monitorare con regolarità l’efficacia dei filtri. Con il sistema basato sul principio dell’adsorbimento lavo il flusso di gas e intercetto i composti che finiscono nella soluzione di lavaggio. La matrice è liquida e anche qui perdo il prodotto.
Con la condensazione criogenica il recupero di prodotto fa sempre la differenza?
Il processo può avere costi elevati, ma è anche vero che spesso sono le grandi società che vendono gas tecnici a fornire a nolo alle aziende chimiche interessate l’impianto di condensazione criogenica: poi forniranno l’azoto liquido e gli altri gas tecnici che servono per il funzionamento. Società come Air Liquide, Praxair Rivoira e altre di questa portata sanno bene di cosa hanno bisogno le industrie chimiche o petrolchimiche per gli abbattimenti dei reflui nei rispettivi impianti. Il recupero del prodotto e le sue percentuali – insieme a costi di esercizio e manutenzione, efficacia dell’abbattimento e maggiori efficienze – è uno degli elementi base nelle valutazioni attraverso le quali il gestore considera se installare o meno l’impianto di condensazione criogenica.
Ci sono valutazioni oggettive sul vantaggio economico?
Per capire l’impatto, bisogna valutare quali composti organici volatili vanno trattati. Anche quanto all’efficienza, bisogna guardare caso per caso.
Parliamo degli impianti utilizzati. Che portata hanno?
Quello che conosco meglio, installato presso lo stabilimento Arkema in provincia di Alessandria, una struttura produttiva piena di sfiati, permette un trattamento che supera i cinquemila metri cubi l’ora. Lì l’abbattimento riguarda, in particolare, i perossidi. Di norma in questo genere di impianti si utilizza l’azoto liquido. Più di rado l’anidride carbonica. Il punto debole, o meglio, il limite della condensazione criogenica è rappresentato dalla presenza di vapori umidi. È necessario che nell’effluente non ci sia dell’acqua, altrimenti nell’impianto si crea ghiaccio, che riduce l’efficienza e aumenta i costi di manutenzione.
Tra obblighi normativi e scelte del gestore: qual è il quadro normativo nel quale si muovono le aziende interessate a installare impianti di condensazione criogenica?
Da una parte ci sono i vincoli di legge: quanto previsto dal testo unico sull’ambiente, norma che prevede , ad esempio, il divieto di immissione nell’atmosfera di determinate sostanze estremamente dannose per la salute e l’ambiente, mentre per altre indica un trattamento e un abbattimento. Un secondo livello riguarda i protocolli che delineano le migliori tecniche disponibili, le cosiddette “best reference”. Si tratta di documenti e direttive adottati a livello comunitario. Quelle ora in vigore sono state redatte nel 2005 (vi sono equiparati quattro tipi di condensazione: convenzionale, per refrigerazione, criogenica e a ciclo chiuso di gas inerte, ndr). Di tanto in tanto vengono aggiornate. Più che un’imposizione di questa o quella soluzione per la gestione dei reflui gassosi o liquidi, la strada da percorrere viene individuata, in una griglia di varie soluzioni possibili, nel confronto tra titolare dell’impianto e responsabili dell’ente che autorizza, ovviamente sulla base di quei documenti. Un discorso a parte concerne le “cleaner production”, che sono un passo ulteriore che decide l’azienda al di là dei vincoli normativi. Una volta garantiti i parametri minimi di legge si passa a valutazioni sull’efficienza energetica dell’impianto. A quel punto tutti gli obblighi sono soddisfatti ma si decide di migliorare l’efficienza ambientale dell’impianto perché questa mossa porta anche dei vantaggi economici.
Per capire se è il caso di installare di un impianto a trattamento criogenico è centrale il rapporto costo-benefici. Come si orientano le aziende?
Ci sono diversi parametri di cui il gestore dell’impianto tiene conto. Il punto di partenza sono una serie di valutazioni sulla quantità e qualità dei reflui: se devo condensare un solo inquinante e in quale concentrazione. Poi ci sono il quadro normativo di riferimento, la maggiore efficienza che può fornire l’impianto di condensazione criogenica, i costi di manutenzione (elevati per via del contributo energetico, ndr) e quelli di gestione e di monitoraggio. E’ frequente, come ho detto, che l’azienda che decide di puntare sulla condensazione criogenica riceva l’impianto a nolo dalle grandi società che forniscono gas tecnici.
Tenuto conto della gamma di sostanze inquinanti che possono essere trattate con la condensazione criogenica, può fornire qualche elemento per delineare le possibili ricadute sull’ambiente?
Posso riportare i dati ufficiali più aggiornati forniti dalla Commissione europea (“Danni per tonnellata di emissione negli stati membri dell’Ue”) . L’ultimo rapporto è del 2005. Il costo per tonnellata dovuto all’emissione delle sostanze tipicamente trattate tramite la condensazione criogenica, i composti organici volatili (Cov), arriva a 2.800 euro. Si tratta di costi ambientali e sanitari: non è una cifra tra le più alte ma è comunque importante (la stessa tabella indica per il particolato pm2.5 un costo per tonnellata fino a 75mila euro, ndr). Se si scende nel dettaglio degli allora venticinque paesi membri dell’Ue, tramite una stima sulla situazione del 2010 pubblicata sempre nello stesso rapporto, indica per l’Italia, con l’inclusione di tutti i parametri, un danno per tonnellata riconducibile ai composto organici volatili che lievita a 3.500 euro. [/box]
[note color=”#165ae3″]Vantaggi e svantaggi della condensazione criogenica
Vantaggi
• Recupero di solventi organici separati dalla miscela condensante
• Tecnologia compatta
• Maggiore sicurezza rispetto a tutti gli altri tipi di condensazione
• Alto tasso di abbattimento dei composti organici volatili (anche oltre il 99%)
• L’azoto liquido viene riciclato
• Processo estremamente efficiente: le emissioni possono essere calcolate con buona approssimazione
Svantaggi
• Non adatto per i flussi di aria umida a causa della formazione di ghiaccio che impedisce il trasferimento di calore
• Necessità di un impianto di produzione di azoto liquido o di un suo approvvigionamento costante
• Il refrigerante sotto zero può provocare la formazione di ghiaccio sullo scambiatore di calore[/note]
[note color=”#165ae3″]
Caratteristiche tecniche di base degli impianti di condensazione per abbattimento inquinanti basati su freddo e superfreddo
• Principio base/Finalità
• Liquefazione reflui gassosi tramite refrigerazione
• Applicazioni
• Recupero composti organici volatili (Cov)
• Pre-trattamento dell’aria prima del processo di adsorbimento
• Post-trattamento e arricchimento dei gas
• Condizioni limite di utilizzo
• Portata dell’aria: fino a 100mila metri cubi l’ora
• (fino a 10mila metri cubi l’ora gli impianti criogenici)
• Temperatura: < 80° • Presenza di polveri: • Pressione: 0,1 – 0,2 kiloPascal
• Consumi
• Mezzi di refrigerazione: aria, acqua, sali, ammoniaca, azoto liquido, biossido di carbonio
• Energia: 70 kWh per mille metri cubi[/note]