Sin dalla sua prima edizione nel 2008 ad opera della ONG britannica Environmental Investigation Agency (EIA), lo studio Chilling Facts si occupa di analizzare la situazione dei supermercati britannici, relativamente al tipo di refrigerazione usata. La refrigerazione commerciale, infatti, è uno dei settori con il maggior bisogno di regolamentazione, sia essa intesa come controllo delle perdite oppure come passaggio a tecnologie più sostenibili. In Europa, ad esempio, si stima che essa sia responsabile del 15-20% dell’impronta carbonica dei supermercati ed è responsabile della emissione di circa 20 milioni di tonnellate di CO2 per anno. La fonte maggiore di queste emissioni è ancora l’emissione diretta, ovvero la perdita di refrigeranti, che, nel caso degli HFC usati nella distribuzione, sono potenti gas serra.
Lo studio qui presentato non mira a fare la classifica dei più bravi della classe, ma ad incoraggiare determinate scelte, riportando l’esperienza di chi tali scelte le ha fatte. Infatti, la comunicazione delle diverse esperienze è fondamentale sempre, a maggior ragione se si tratta di tecnologie relativamente giovani.
Passi da gigante
Quando nel 2008 la EIA decide di iniziare ad analizzare quali e quanti distributori britannici stanno investendo in sistemi di refrigerazione naturale, si evidenzia un settore inceppato in metodi e tecnologie non innovative, con appena 14 negozi attraverso tutto il Regno Unito che utilizzano tecnologie sostenibili nella refrigerazione. Secondo una stima approssimativa, allora circa l’80% degli impianti britannici funzionava ancora con R404A, il 15% con R22 e meno del 5% utilizzava refrigeranti alternativi o naturali. Da una analisi dei questionari che furono restituiti alla agenzia, risultava la generale percezione che:
- la tecnologia senza HFC fosse considerata ancora troppo immatura;
- l’efficienza energetica di soluzioni con refrigeranti naturali non fosse ritenuta sufficiente da giustificare determinati cambiamenti;
- i costi di investimento e la preparazione dei tecnici fossero due problemi grossi e quasi insormontabili.
- Da allora il panorama è decisamente cambiato. Ben 344 negozi attraverso il Regno Unito utilizzano oggi (stato: luglio 2012) tecnologie a base di refrigeranti naturali e si riportano significativi risparmi energetici e di emissioni di CO2. Le tecnologie presenti sono soprattutto:
- impianti ibridi con CO2 subcritica per le temperature basse e un HFC per le temperature alte;
- impianti a CO2 transcritica, sia per la temperatura bassa che alta;
- idrocarburi, soprattutto per soluzioni isolate e a bassa carica frigorigena.
I numeri presentati sono effettivamente considerevoli ed indicano che un passaggio alla refrigerazione naturale è possibile anche in tempi brevi.
Gran Bretagna: British Retailers Consortium
Il quadro descritto in Chilling Facts è coerente con gli impegni volontari presi dal British Reatilers Consortium di ridurre le emissioni di gas serra. Tra il 2005 e il 2011 si è raggiunta tra i membri del consorzio una riduzione delle emissioni totali del 25%. Diversi sono gli approcci utilizzati, ad esempio:
- miglioramento dell’efficienza dei sistemi per la riduzione delle perdite;
- utilizzo di impianti a gas con minore impatto ambientale;
- utlizzo di sistemi di copertura per mobili surgelati e refrigerati;
- recupero di aria fredda dai mobili aperti e calda dall’impianto di refrigerazione e sua ridistribuzione in altre aree del supermercato.
Il settore della distribuzione britannica ha affrontato il tema della sostenibilità in maniera collaborativa, non cioè con iniziative di singoli isolati, ma creando una piattaforma di scambio ed un codice di condotta per la riduzione delle emissioni di CO2. Tale codice è inteso come supporto nella scelta delle misure da adottare per la riduzione della propria impronta carbonica.
A spasso per l’Europa
La IV edizione di Chilling Facts, a differenza delle precedenti che si concentravano essenzialmente sulla situazione in Gran Bretagna, getta uno sguardo anche sull’Europa. Le risposte ricevute dalla distribuzione europea indicano una ampia variazione regionale nel priorizzare la scelta di tecnologie sostenibili. Mentre il Nord Europa è all’avanguardia, il sud e l’est mostrano ancora molta timidezza nell’affrontare questo cambiamento. Eccezione è l’Ungheria dove, grazie a Tesco, sono in funzione ben 35 negozi che utilizzano refrigerazione senza HFC. La varietà registrata nell’approccio alle tecnologie basate sui refrigeranti naturali evidenzia la necessità di una legislazione che armonizzi determinati settori a livello europeo ed incoraggi determinati cambiamenti.
Anche la Svizzera è esempio di una buona affermazione della refrigerazione naturale. Qui Coop ha fatto i passi maggiori nell’impegno di eliminare i refrigeranti sintetici con ben 135 negozi senza HFC. Migros possiede ben 149 impianti ibridi. In Olanda si cita Ahold che gestisce 175 negozi a tecnologia ibrida distribuiti per il paese. Tralasciando il Nord Europa – Svezia, Danimarca, Norvegia – dove la tecnologia a CO2 transcritica prende sempre più piede, citiamo qui Carrefour che ha aperto tre negozi a CO2 transcritica, di cui due in Francia, zona Lione e Parigi, e uno a Burolo, vicino a Torino. Se le performance energetiche di tali impianti risponderanno alle aspettative – ovvero un risparmio energetico del 15 % annuale e un ed una copertura degli investimenti degli impianti entro 3-5 anni – allora Carrefour inizierà la diffusione di questa tecnologia anche a queste latitudini, aprendo cosi probabilmente un nuovo capitolo nella refrigerazione a CO2.
Efficienza energetica non solo con la CO2. In Germania, la catena Aldi è un buon esempio di come sia possibile ottenere rispettabili risparmi energetici anche con l’utilizzo di idrocarburi. Con ben 5145 freezer ad idrocarburi, Aldi registra dal 2007 – anno in cui è iniziato l’utilizzo di apparecchi ad idrocarburi – un risparmio di 1.871.136 kWh per anno, Che non solo è un notevole risparmio nelle emissioni di CO2 ma anche nel conto per l’energia elettrica.
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Abbiamo incontrato Fionnuala Walravens (nella foto), EIA Senior Campaigner, che ha risposto alle nostre domande.
I numeri che citate – 14 negozi nel 2008 e 344 nel 2012 che usano tecnologie in qualche modo legate alla refrigerazione naturale – sono abbastanza impressionanti. Quali ragioni sono state citate dai gestori della distribuzione per un cambiamento cosi rapido e massiccio?
Una delle ragioni maggiori è la consapevolezza del fatto che 1) l’impegno sostenibile e quindi la riduzione dell’impronta carbonica di ciascuna azienda è una informazione di dominio pubblico e influenza dunque l’opinione pubblica e 2) che una riduzione dell’impronta carbonica deve necessariamente passare per il settore della refrigerazione, che in alcuni dei casi da noi analizzati, è responsabile per ben il 40% dell’impronta carbonica totale del negozio.
Ma questo cambiamento così veloce verso soluzioni naturali in così breve tempo lascia pensare che quelli che nel 2008 venivano citati come ostacoli – mancanza di tecnici con adeguata preparazione professionale, alti costi di investimento, etc. – non fossero in realtà ostacoli cosi insormontabili…
Quando si inizia ad utilizzare una certa tecnologia vi son sempre ostacoli che inizialmente paiono insormontabili. Ma più la tecnologia si afferma, più le eventuali difficoltà si risolvono. Inoltre si tratta spesso di cambiare ottica. Prendiamo ad esempio la questione dei costi iniziali. È vero, sono spesso maggiori per impianti a CO2 rispetto ad impianti tradizionali, ma se sul ciclo di vita dell’impianto, poi, ho risparmi di costi operazionali del 15%, il costo iniziale si relativizza. È importante non pensare più con gli stessi parametri con cui si pensava prima. Una innovazione tecnologica richiede anche una innovazione di pensiero.
In Gran Bretagna, dove avete registrato il 44% di aumento nel numero di negozi utilizzanti refrigeranti naturali, ci sono programmi statali di supporto per il passaggio da una refrigerazione tradizionale ad una naturale?
Non sono a conoscenza di schemi governativi di supporto ai supermercati per la sostituzione dei refrigeranti. (NdR: vi sono però schemi di supporto per l’acquisto ed utilizzo di apparecchi, soluzioni e impianti con migliore efficienza energetica).
Nel 2010 il Consumer Goods Forum ha dichiarato il suo impegno per una refrigerazione senza HFC a partire dal 2015. Quale peso hanno realmente tali iniziative?
Il Consumer Goods Forum ha ben 650 membri in 70 paesi e le iniziative annunciate sono di dominio pubblico. Credo che un tale impegno, annunciato pubblicamente e portato avanti seriamente, possa portare a dei cambiamenti reali. Soprattutto perché tali iniziative – come anche ad esempio Refrigerants, Naturally! – divengono piattaforme di scambio di conoscenza ed esperienza e questo è fondamentale perché spesso sono pregiudizi più che fatti reali ad ostacolare l’affermazione della refrigerazione naturale.
Ciò che risulta dallo studio è che i migliori risultati in termini ambientali e di efficienza energetica si ottengono con un approccio olistico al sistema di refrigerazione. Cosa significa questo esattamente, anche considerando l’esperienza dei vostri intervistati?
Un buon risparmio energetico inizia dalla pianificazione. Una visione moderna del supermercato considera refrigerazione, climatizzazione e riscaldamento come un tutt’uno dove per esempio un impianto utilizza il calore di scarto dell’altro. In un passaggio successivo si considera la possibilità di raggiungere una maggiore efficienza anche utilizzando porte doppie, ad apertura più veloce e breve, illuminazione LED, porte sui mobili raffreddati, etc., tutta cioè una serie di misure che insieme mirino ad una maggiore efficienza energetica e quindi ad una minore impronta carbonica. Il supermercato dunque in tutte le sue parti, collegate tra di loro: questo intendiamo per approccio olistico. [/box]
[note color=”#165ae3″]L’impatto della refrigerazione…
…è più alto di quel che si possa pensare. A titolo di esempio citiamo qui i costi registrati dai membri di NIIRTA – l’associazione indipendente della distribuzione nord irlandese – Northern Ireland Independent Retail Trade Association – che nel complesso dei suoi membri impiega un totale di 30.000 persone e ha un fatturato annuale di 3 miliardi di sterline. I membri di NIIRTA registrano:
• costi annuali per l’energia nella refrigerazione di 7,5 milioni di sterline;
• costo energetico medio per la refrigerazione anno/sede tra le 9.750 e le 22.500 sterline;
• potenzialità media di riduzione di consumo energetico: 40%.[/note]
[note color=”#165ae3″]A proposito di emissioni dirette
La refrigerazione commerciale è uno dei segmenti della refrigerazione che registra le maggiori emissioni dirette dovute a perdite di refrigerante dal sistema. Poiché spesso i refrigeranti usati nella distribuzione sono potenti gas serra – 2000-4000 volte più impattanti della CO2 – e poiché spesso le cariche frigorigene sono anche di 3000 Kg è facile capire quale possa essere l’impatto di perdite in questa situazione. I numeri della frazione di refrigerante persa variano notevolmente. In Gran Bretagna, ad esempio, la media delle perdite di refrigerante dal sistema è stimata del 20%. In un sistema standard questo potrebbe significare un 11% di riduzione dell’efficienza energetica e un diretto aumento dei costi energetici. In Europa il regolamento sui gas fluorurati 842/2006 è il regolamento che si occupa della riduzione delle emissioni di gas serra e fa del controllo delle perdite uno dei suoi capisaldi. Il regolamento è entrato in funzione nel 2006 ma ancora nel 2012 vi sono commercianti che registrano perdite di refrigerante molto elevate. Questo, se da una parte indica quanto sia difficile mantenere il controllo delle perdite, dall’altro indica che la riduzione delle emissioni di gas serra non può limitarsi principalmente ad un controllo delle perdite dei gas refrigeranti.[/note]