GreenFreeze: un successo lungo venticinque anni

 

GreenFreeze – ozone friendly refrigerator © Greenpeace / Robert Visser .

Esattamente venticinque anni fa  – era il 1993 – il primo frigorifero GreenFreeze lasciò la catena di montaggio del produttore DKK Scharfenstein in Sassonia per entrare sul mercato. È stato il primo frigorifero al mondo senza CFC e HFC ma funzionante a idrocarburi ad essere entrato in produzione in serie nonostante l’enorme opposizione dell’industriaDa quel 1993, secondo le Nazioni Unite, sono stati prodotti e venduti circa 900 milioni di unità di raffreddamento GreenFreeze. Un numero che 25 anni fa era semplicemente inimmaginabile. La quota nel mercato mondiale di questi apparecchi oggi è quasi dell’80%. Un risultato che ha risparmiato circa un miliardo di tonnellate di emissioni di anidride carbonica, piu‘ delle eissioni annuali totali della sola Germania!

«Non ci saremmo mai aspettati questo successo. Fu una vera e propria rivoluzione» afferma Wolfgang Lohbeck, a quel tempo direttore della campagna di Greenpeace per l’affermazione di GreenFreeze (in Germania, ndr). «Siamo molto soddisfatti di quanto abbiamo fatto».

Cronologia di un successo

Greenpeace avviò la sua campagna per l’abbandono dei CFC già negli anni ’80 e l’ha continuata contro gli HFC quando  l’industria chimica li propose come sostituti dei CFC.

Settembre 1992: Reinhard Penzis (a destra), direttore tecnico di DKK Scharfenstein, in dialogo con Wolfgang Lohbeck di Greenpeace. Credits: © Manfred Scharnberg/Greenpeace

Lohbeck racconta come l’industria chimica stessa abbia non solo perso un‘occasione ma inizialmente ostacolato in tutti i modi l’idea di una nuova refrigerazione: «Furono distribuiti volantini contro Greenpeace a livello nazionale (in Germania, ndr). Si affermava che Greenpeace accettava la morte di bambini nel Terzo mondo, perché senza CFC o HFC, ad esempio, i vaccini non potevano più essere raffreddati. Quello fu il momento in cui decidemmo di dover trovare le soluzioni da soli». L’industria allora sembrava non volerlo fare.

Per tre anni, Lohbeck e il suo team approfondirono il tema della refrigerazione. Poi trovarono quello che stavano cercando: in un laboratorio dell’Istituto per l’Igiene di Dortmund, un certo dott. Preisendanz attirò la loro attenzione sulle possibilità di utilizzo dei refrigeranti naturali, senza fluoro o cloro.

Mancava solo un produttore. Ma lo si trovò: a quel tempo, il più grande produttore di frigoriferi della Germania dell’Est, la società sassone DKK Scharfenstein, successivamente Foron, si trovava  di fronte alla liquidazione da parte di un fiduciario. Su circa 5.000 posti di lavoro, ne erano rimasti 1700. DKK vide nel progetto di Greenpeace un’opportunità e decise di collaborare, anche contro la volontà del fiduciario.

La storia fa il suo corso

Il boicottaggio dell’industria continuò con richieste scritte da parte dei produttori affermati inviate ai rivenditori in cui gli si diceva di non accettare frigoriferi Greenfreeze perché “pericolosi”. Ma la storia fece il suo corso e pochi anni dopo tutti i maggiori produttori in Germania e poi nel mondo adottarono la tecnologia GreenFreeze, a base idrocarburi.  Oggi, c’è un solo paese che ancora blocca GreenFreeze –  gli Stati Uniti –  ma anche qui i tempi stanno cambiando.

Quello di Greenfreeze è forse uno dei migliori esempi di azioni bottom up che precorrono la legislazione, portando a una rivoluzione silenziosa ma travolgente.

Nonostante la sua elevata quota di mercato, la tecnologia GreenFreeze non è ancora disponibile ovunque. Così, per esempio, le regioni non dotate di connessione permanente e affidabile alla rete fanno fatica ad utilizzare un frigorifero Greenfreeze come qualunque altro apparecchio elettrico. Per questo Greenpeace ha avviato un nuovo progetto: insieme con l’OMS, UNICEF e UNEP, si è sviluppato SolarChill, un frigorifero solare per una fornitura di raffreddamento affidabile.  Ma qui comincia un’altra storia…